L’Albero di Vittorio
Vittorio Arrigoni Gaza non dimentica. I bambini di Khan Yunis hanno piantato un olivo per ricordare lo scrittore, reporter e attivista italiano assassinato sette anni fa. Arrigoni raccontò "Piombo fuso" sulle pagine del manifesto
Vittorio Arrigoni Gaza non dimentica. I bambini di Khan Yunis hanno piantato un olivo per ricordare lo scrittore, reporter e attivista italiano assassinato sette anni fa. Arrigoni raccontò "Piombo fuso" sulle pagine del manifesto
Una piacevole sorpresa ti aspetta quando sei a Gaza il 15 aprile. Ti permette di renderti conto di quanto sia viva nella Striscia la memoria di Vittorio Arrigoni. Ma non nell’esecutivo di Hamas che, come il governo dell’Anp a Ramallah, ha sepolto sotto la polvere dell’oblio l’attaccamento alla causa palestinese del giovane scrittore, reporter e attivista italiano brutalmente assassinato nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 2011 da un gruppo di sedicenti salafiti in un palazzo fatiscente di Sudaniye. Sono le persone comuni, quelle che si incontrano per strada, che ti rivolgono la parola per caso che non dimenticano “Vik”, come Vittorio è universalmente conosciuto. E lo ricordano nonostante l’assedio, le decine di palestinesi uccisi nei giorni scorsi dall’esercito israeliano lungo le linee di demarcazione, la disoccupazione dilagante, il valico di Rafah con l’Egitto che ha chiuso di nuovo, la sanità al collasso, l’elettricità che manca e tanti problemi che si accumulano a vecchi problemi e rendono la vita insostenibile. «Da dove vieni? Italia…allora sei qui per Viturio (come lo chiamano a Gaza, ndr)» ci diceva domenica uno dei poliziotti al posto di blocco che da qualche giorno si incontra all’ingresso del campo propughi di Shate. «Tu lo conoscevi?», domandiamo curiosi. «Non l’ho mai incontrato ma so che ha fatto tanto per Gaza».
Vittorio Arrigoni ha informato l’Italia su Gaza e ha seminato tra la gente di Gaza un’idea del mondo, della vita, della giustizia, dei rapporti tra i popoli. Ha lasciato a tutti noi un’esortazione, quel “Restiamo umani” con il quale firmò le sue cronache dell’offensiva israeliana “Piombo fuso”, tra dicembre 2008 e gennaio 2009, per il manifesto. Restiamo umani nonostante tutto, ci diceva dopo aver riferimento di stragi e sofferenze. Domenica Khalil Shahin, vicedirettore del Centro per i Diritti Umani, l’ha ricordato al porto di Gaza, assieme ai pescatori con i quali Vittorio usciva in mare nella speranza di proteggerli con la sua presenza di straniero occidentale dalla Marina israeliana. In mare fu arrestato dalla Marina israeliana per un unico motivo: era lì con quei pescatori. Era l’autunno del 2008. Portato a Tel Aviv, dopo quasi una settimana di detenzione fu espulso. Ma tornò subito, a bordo dell’ultima imbarcazione della Gaza Freedom Movement a cui Israele permise di raggiungere Gaza. «Il suo impegno è stato immenso per la nostra gente e in difesa del diritto e della giustizia per i palestinesi», spiegava domenica Shahin rivolgendosi ad amici, conoscenti e giornalisti giunti per la commemorazione di Vittorio organizzata dalla cooperativa dei pescatori. «Non aveva timore di andare in mare pur sapendo che le motovedette israeliane avrebbero potuto aprire il fuoco sulle barche (palestinesi) vicine ai limiti di pesca (imposti da Israele ai pescatori, ndr)». Ma era anche dalla parte dei contadini. Nella fascia di territorio di Gaza dove nelle scorse settimane sono stati uccisi oltre 30 palestinesi, Vittorio andava regolarmente con altri attivisti stranieri dell’Ism, sperando di indurre i soldati a non sparare sui contadini diretti ai loro campi a ridosso delle linee con Israele. «Rischiò tante volte la vita durante Piombo fuso – ha ricordato Shahin – Saliva sulle ambulanze che andavano a recuperare i civili feriti in zone zone dove si muovevano i mezzi corazzati israeliani. Vittorio voleva restare per anni a Gaza, per continuare ad informare gli italiani su quanto accade nella nostra terra. Aveva stretto legami indissolubili con le persone e i luoghi».
Vittorio, i pescatori, i contadini e i tanti che gli stringevano la mano quando era per strada. Ma lui aveva a cuore soprattutto i bambini che impazzivano per i suoi tatuaggi. E i bambini non lo dimenticano. In suo ricordo hanno piantato a Khan Yunis un olivo, l’albero al quale Vittorio aveva dedicato un’ode, all’interno di un ampio progetto realizzato dall’Uhcc (Comitati per la cura e la salute) e dall’associazione “Oltre il Mare” con fondi messi a disposizione dalla Fondazione Arrigoni. Un olivo che non è stato scelto a caso, perché è nato nel 1975 come Vittorio nell’idea che possa rappresentare la continuazione della vita spezzata del giovane italiano. «Nel nome di Vittorio abbiamo dato vita a un centro che è allo stesso tempo un poliambulatorio per i bambini e un centro per l’educazione ambientale e la conservazione della memoria. La filosofia del progetto è recuperare il sorriso e la dignità di vivere come palestinesi e come esseri umani. I bambini adotteranno degli alberi, impararanno a conoscerli e a curarli come avrebbe voluto Vik», spiegava domenica Patrizia Cecconi di “Oltre il Mare”, mentre adulti e bambini piantavano l’olivo e fissavano la targa di ceramica di Gaza con la scritta, in un italiano simpaticamente errato: “Vittorio Arrigoni, Martir de Palestina”.
Dei membri del gruppo che sequestrò e uccise Vik proclamandosi affiliato a Tawhid wal Jihad, solo due sono in vita: Tamer Hasasnah e Khader Jram. Seguirono per giorni i movimenti dell’italiano permettendo ai complici di preparare il rapimento che avrebbe portato all’assassinio di Vittorio. Condannati in primo grado all’ergastolo, poi a 15 anni in appello, in cella ci sono rimasti ben poco, tra periodi di detenzione e altri di libertà vigilata. Sono spariti circa un anno fa dopo aver lasciato la prigione. Le famiglie dicono di non sapere nulla di loro. Un’altro degli assassini Mahmoud Salfiti usò un permesso per fuggire e trovare rifugio nel Sinai egiziano per poi morire in Siria combattendo per l’Isis. I due ”capi” Abdel Rahman Breizat e Bilal Omari dopo l’omicidio tentarono la fuga ma furono uccisi dalla polizia di Hamas. Ormai importa poco. I loro nomi sono polvere portata via dal tempo, quello di Vittorio è pietra scolpita per sempre nella memoria della gente di Gaza.
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