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L’affaire Abbé Pierre, l’idolatria del Dio prevaricatore

Abbé Pierre (ap)Abbé Pierre – Ap

Chiesa L’ennesima notizia di abusi che deflagra dall’interno della Chiesa cattolica dovrebbe portare quest’ultima a un profondo ripensamento di se stessa

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 19 luglio 2024

L’ennesima notizia di abusi che deflagra dall’interno della Chiesa cattolica dovrebbe portare quest’ultima a un profondo ripensamento di se stessa, della propria visione di Dio e del mondo. I fatti, questa volta, riguardano il sacerdote francese Abbé Pierre, fondatore della Comunità Emmaus che quando morì, nel 2007, venne definito da Jacques Chirac come «una figura immensa». La notizia è che il prete dei poveri che per sedici volte venne indicato dai francesi «personalità preferita dell’anno», è accusato da un report indipendente, commissionato dalla sua comunità, di molestie su sette donne. I crimini, alcuni dei quali classificati come aggressioni sessuali, non sembra possano essere messi in discussione se è vero che fu lo stesso religioso, prima di morire, a implorare perdono.

La Chiesa di Francia ha dichiarato di aver appreso «con dolore» dei racconti che riguardano il religioso, mentre la conferenza episcopale ha espresso compassione per le vittime e vergogna per il fatto che chi ha commesso questi abusi fosse un prete. E se nei mesi scorsi è stata ancora la Chiesa d’Oltralpe ad agire contro gli abusi commissionando un report che ha fatto chiarezza su quanto avvenuto nei decenni passati, le notizie riguardanti l’Abbé Pierre dicono che tutto ciò non è sufficiente. E lo conferma quanto ha dichiarato l’autrice del rapporto sul religioso, Caroline de Haas: «L’Abbé Pierre – ha spiegato – si è approfittato di una forma di idolatria che lo circondava». È questo il punto su cui la Chiesa dovrebbero riflettere oltre i mea culpa e i report, sul fatto cioè che è la propria visione di Dio e del mondo che troppo spesso porta a questa idolatria, a un fanatismo che causa abusi.

Per secoli il cristianesimo si è abbeverato alle fonti di un Dio, imposto nel cattolicesimo con l’Editto di Costantino nel 313, che dall’alto dei cieli dirige a piacimento le sorti dell’umanità. Le Chiese ne sono state le uniche interpreti. Tanto che non hanno esitato a imporre il proprio Vangelo con la violenza del proselitismo. Dopo il Concilio Vaticano II molte cose sono cambiate, ma al fondo la visione di questo Dio che dirige la vita degli uomini chiedendo preghiere, digiuni e sacrifici è ancora presente e fa danni. Se Dio vive nei cieli offrendo una sua verità inconfutabile, è evidente che coloro che ne sono i mediatori corrono il rischio di imporsi sugli altri con violenza arrivando, in casi che toccano personalità giudicate moralmente ineccepibili, ad abusi che col Vangelo nulla hanno a che fare.

Eppure, sempre più teologi riconoscono che il Dio che il cristianesimo ha fatto suo da Costantino in poi non esiste. E che non ci sono basi storiche per dire che fosse il Dio con il quale Gesù viveva una sua simbiosi. Del Dio di Gesù nulla si può dire di certo, se non che era visto da lui come puro amore, la forza di una misericordia che scardinò la visione teistica del suo tempo, quella stessa visione che poi paradossalmente la Chiesa ha fatto sua imponendo leggi, sacrifici, riti e arrivando a chiedere abnegazione in cambio di protezione.

Se Dio vive nell’alto dei cieli e io ne sono il mediatore, è evidente che tutto mi è concesso. Anche l’imposizione con la forza della mia verità, fino ad abusi commessi nel silenzio complice dei più. Mentre tutto dovrebbe cambiare alla fonte, dall’ammissione che di Dio nulla si può dire se non che, se esiste, è mistero d’amore che dal di dentro spinge ad amare senza prevaricare, a essere senza possedere.

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