«Potrei raccontare degli episodi e tante donne potrebbero fare lo stesso…» così Laetitia Ky affronta, visibilmente scossa e con la voce rotta, la storia delle attenzioni ricevute durante la pubertà, dei palpeggiamenti di uomini adulti, e delle differenze tra i maschi, a cui fin da bambini è permesso tutto, e le bambine, relegate ad un ruolo domestico e ad un futuro da madri. Laetitia è un’artista attivista della Costa d’Avorio, le sue foto parlano di tabù, bullismo, odio, discriminazione, razzismo, immagini che veicolano informazioni attraverso il corpo dell’artista, o meglio attraverso i suoi capelli che diventano sculture aeree, forme che scuotono e invitano alla riflessione.

Dopo aver terminato gli studi di marketing, all’età di 16 anni, si è dedicata alla creatività contro il parere di un padre che non le ha parlato per 2 anni temendo la difficoltà della scelta dell’arte ma che successivamente si è ricreduto.
Nel 2017 una sua foto su Instagram divenne virale attirando l’attenzione internazionale sulle sue «sculture capillifere», un linguaggio sperimentale originato da un caso fortuito: «Ho iniziato con i capelli dopo aver visto un album di foto di donne africane prima della colonizzazione. Delle immagini molto antiche in bianco e nero con delle acconciature che sembravano sculture astratte, ricordo che mi hanno incuriosita e quindi ho iniziato a fare delle ricerche. Mi sono resa conto che in Africa prima della colonizzazione l’acconciatura era un modo per comunicare sulla religione, sul matrimonio, sullo status sociale … era come una lingua. Così ho iniziato a sperimentare su me stessa, ma non c’era nessuna volontà di fare attivismo», racconta l’artista.

Tuttavia dopo aver ricevuto numerosi messaggi da donne africane che la ringraziavano, Laetitia, oltre a quello identitario, ha dato un significato diverso alle sue immagini postate sui social. Sono state proprio le piattaforme a divenire il luogo del dibattito che l’ha spinta verso una scelta di militanza consapevole. «Vedere una donna di colore usare i propri capelli e mostrare la propria pelle le ha fatte sentire meglio con se stesse. Ho capito che quello che stavo facendo aveva una forza che potevo usare per una proposta più grande. È stato allora che ho iniziato ad associare ai capelli il mio femminismo e il mio attivismo».

Gli argomenti trattati nelle sue opere si riferiscono alle esperienze femminili, talvolta suggerite dalle stesse followers: la verginità, il ciclo mestruale, gli stereotipi sulla bellezza, la maternità, lo sfruttamento del corpo e la disuguaglianza tra i sessi. «Fin da quando sei piccolo nella società ivoriana è molto facile vedere le differenze di trattamento tra maschi e femmine, anche prima della nascita, perché, ad esempio, in alcune famiglie, se una donna partorisce solo femmine non è considerata una brava donna, la brava donna dovrebbe partorire anche un maschio, quindi una bambina risulta essere meno importante. Si cresce in modo diverso, da piccole non abbiamo il diritto di fare alcuni giochi come i ragazzi: calcio, correre, arrampicarsi sugli alberi, quando lo facciamo veniamo punite, i ragazzi hanno invece tutta la libertà. Alle elementari a scuola, ogni giorno le ragazze devono prendere una scopa e pulire le classi, mentre i ragazzi aspettano fuori, quindi, la differenza è evidente sin dall’infanzia. Poi quando il tuo seno inizia a crescere, verso i 10-11 anni ci sono uomini adulti che cercano di toccarti, di parlarti in un certo modo, tutta la tua vita è proprio questo …».

Così i suoi capelli si intrecciano in immagini simbolo contro il patriarcato, contro la violenza, contro le imposizioni sociali rivendicando la difesa della donna. L’immagine di Medusa viene ricostruita sul capo dell’artista i cui serpenti capilliferi rappresentano una Gorgone nata bella ma trasformata in mostro dopo uno stupro; la foto di Laetitia, come scrive lei stessa nel post di IG, diventa metafora del mondo che punisce le vittime e non gli stupratori.
I dipinti, a cui l’artista si dedica da poco pur avendo sempre disegnato, utilizzano un linguaggio semplice ma di forte impatto visivo, spesso legato al sesso e al corporeo, hanno in comune con le foto la mancanza nello sfondo di spazi definiti, di una prospettiva che l’artista sostituisce con campiture omogenee, con ambienti immobili in modo da focalizzare lo sguardo sull’azione.

Il modello comunicativo usato nelle sue opere innesta una relazione tra l’artista e la propria identità, ma anche, svolgendosi prevalentemente sui social, tra l’artista e lo spettatore. L’utente partecipa attivamente a questa costruzione, suggerendo e commentando, funge da spunto creativo ma anche da scudo verso argomenti solitamente interdetti alla discussione pubblica. Ondate di minacce, insulti, molestie e video si riversano copiosi sotto alcuni post dell’artista come per una sua foto dove i capelli disegnano un corpo di donna dalla cui vagina esce della stoffa rossa alludendo chiaramente al mestruo, o per un dipinto che mostra il sangue del ciclo diventare nutrimento per un albero i cui frutti sono dei feti. «I fenomeni fisiologici del corpo non dovrebbero essere demonizzati, sono naturali e umani. Metà della popolazione ha le mestruazioni, quindi, perché renderle un segreto o trasformare il parlarne in un peccato?», puntualizza l’artista.

Nonostante i suoi haters rasentino la pericolosità, Laetitia continua a sostenere la propria libertà di espressione, come quella degli altri, anche se scatena pareri contrari. Parla del politicamente corretto nei social media, di quando, sulla scia degli avvenimenti in Iran, ha fatto una dichiarazione contro l’hijab e si è vista tacciata di islamofobia, o di transfobia quando ha parlato di identità femminile. Anche sul movimento di epurazione dal colonialismo di alcuni musei, l’artista afferma convinta che pur essendo contro il razzismo non è concorde nel cancellare i segni di una storia che c’è stata, ma crede nella necessità di affrontarla e di approfondirne le cause, di studiare e di argomentare il dissenso. Vede la cancellazione come una censura.

Dopo il successo sui social, supportato da un periodo, precedente la scelta artistica, in cui era influencer per famosi brand, le foto e i dipinti dell’ivoriana, tra linguaggio pop, body art e performance, sono diventati protagonisti assoluti di mostre importanti. È stata scelta per il Padiglione della Costa d’Avorio alla Biennale di Venezia del 2022, e attualmente le sue opere sono esposte a Napoli al Made in Cloister fino al 5 maggio, in una mostra a cura di Alessandro Romanini, per una bipersonale insieme ad Assunta Saulle.

L’affermazione di Laetitia include anche il cinema, nel 2019 aveva partecipato al film Night of the Kings, diretto da Philippe Lacôte, e quest’anno ha recitato nel film di Giacomo Abruzzese, Disco Boy, che ha vinto l’Orso d’argento al Festival internazionale del cinema di Berlino. Queste prove hanno stimolato l’ivoriana a voler approfondire la sua esperienza cinematografica mentre si rivolge, dopo una visita alle cave di marmo di Carrara, a nuove sperimentazioni con la scultura, un campo per lei ancora non esplorato.