L’accesso al rito nella battaglia per il diaconato femminile
CATTOLICESIMO Cattoliche, valdesi, ebree, musulmane, le donne portano nella teologia e nella gerarchia un pensiero femminista che muove le loro battaglie contro il patriarcato delle religioni monoteiste. Teologhe, pastore, magistrate, avvocate vogliono cambiare il senso delle regole che ancora escludono le donne dall’amministrazione della giustizia di dio. La parola rimossa di Paolo di Tarso: «Non c’è maschio né femmina perché siete tutti uno in Cristo»
CATTOLICESIMO Cattoliche, valdesi, ebree, musulmane, le donne portano nella teologia e nella gerarchia un pensiero femminista che muove le loro battaglie contro il patriarcato delle religioni monoteiste. Teologhe, pastore, magistrate, avvocate vogliono cambiare il senso delle regole che ancora escludono le donne dall’amministrazione della giustizia di dio. La parola rimossa di Paolo di Tarso: «Non c’è maschio né femmina perché siete tutti uno in Cristo»
Nel processo di aggiornamento della Chiesa avviato da papa Francesco quale spazio sarà riservato alle donne? Nel corso dei secoli le parole di Paolo di Tarso, «non c’è maschio e femmina, perché tutti siete uno in Cristo», sono state rimosse da un’istituzione che ha negato alle donne perfino il diaconato, testimoniato invece dalle Scritture (si pensi alla figura di Febe) e dagli studi storici, che hanno raccontato un medioevo popolato da diaconesse e badesse, talvolta dignitarie di poteri feudali e semi-episcopali.
TEOLOGHE come Serena Noceti e Adriana Valerio, non fanno fatica ad ammettere che il Concilio Vaticano II non ha scalfito l’impianto androcentrico della Chiesa, ma ha aperto nuovi filoni di riflessione maturati grazie anche all’ingresso massiccio delle donne nel mondo degli studi teologici. Il Coordinamento teologhe italiane ne rappresenta oggi l’espressione più vivace. Nello statuto si legge che l’associazione ha lo scopo di valorizzare e promuovere gli studi di genere in ambito teologico, biblico, patristico, storico, in prospettiva ecumenica. Intervistata dal manifesto, Cristina Simonelli, presidente della CTI dal gennaio 2013, spiega che i filoni più recenti hanno riguardato il gender e il femminismo, e più in generale, «tutti gli ambiti del sapere teologico, sia nelle Facoltà teologiche e nei contesti accademici, che nei luoghi di pastorale e di pratiche di base, nonché nelle pubblicazioni».
Centrale è ovviamente anche la possibilità di accedere al diaconato, tornata oggetto di discussione alla metà degli anni Novanta grazie all’interessamento del cardinal Martini, dopo che Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, aveva confermato l’esclusione della donne dal sacerdozio. Come ha scritto Anna Carfora, la questione cruciale era la distinzione tra un diaconato femminile inteso come servizio e il diaconato come primo gradino dell’ordine sacro. In tempi recenti se ne è tornato a parlare in occasione del Sinodo dei vescovi sulla famiglia nell’ottobre 2015, ma la proposta del vescovo canadese mons. Paul-André Durocher di permettere alle donne l’accesso al diaconato e all’omelia non ha trovato riscontro nel documento finale. Il 12 maggio 2016 papa Francesco, parlando davanti a 900 religiose di 80 Paesi, annunciava la creazione di una commissione di studio incassando il plauso dell’organizzazione internazionale Women Ordination Conference e i malumori del card. Müller, all’epoca alla testa della Congregazione per la dottrina della fede.
LA COMMISSIONE, composta da dodici membri (sei sono le donne) e presieduta da Luis Francisco Ladaria Ferrer, attuale prefetto della Congregazione per la dottrina, è stata istituita ufficialmente pochi mesi dopo. Sappiamo che al suo interno sono presenti orientamenti diversi sull’opzione del diaconato femminile, tuttavia – spiega Simonelli – «si è trattato comunque di una decisione importante, che ha dato il via anche in Italia a convegni, dibattiti, pubblicazioni, che hanno considerato non solo il caso specifico (donne diacone), ma l’insieme, dalla situazione uomini/donne col relativo immaginario, alla strutturazione dei ruoli ecclesiastici nell’insieme. Non so dire quale impostazione prevarrà: alcuni eventi di questo pontificato sono stati inaspettatamente innovativi, altri invece di indubbia mediazione, che spesso significa status quo».
ANCHE AL LIVELLO di discorso pubblico della Chiesa, le uscite di papa Francesco non sono apparse particolarmente incisive e comunque non prive di punti problematici. Nel 2013, di ritorno dalla giornata mondiale della gioventù di Rio, Bergoglio spiegava ai giornalisti che la Chiesa è femmina utilizzando l’immagine della Vergine come esempio e auspicando una «teologia della donna», a suo giudizio assente dal dibattito. Parlando pochi mesi dopo alla «Civiltà Cattolica», ha biasimato un presunto «machismo in gonnella» e ha esaltato in maniera generica quello che definisce il «genio femminile». Sono affermazioni decisamente caute che manifestano una certa difficoltà nell’affrontare il problema e un immaginario molto tradizionale. È vero che papa Francesco ha inviato a «riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa» e che l’insediamento della commissione è ancora cosa recente, così come si può osservare che le cosiddette «questioni non negoziabili» in materia di bioetica sono passate decisamente in secondo piano nella pastorale, anche se non ci sono stati interventi dottrinali di rilievo e nel segno della discontinuità.
COME CI SPIEGA Simonelli, la chiesa continua a condannare le teorie del gender come un’ideologia perniciosa «rivelando in alcune componenti particolarmente chiassose una omofobia pari almeno all’omogeneità dei quadri cattolici». Il corpo delle donne è ancora il campo di una biopolitica che si esercita in una Chiesa in cui le donne sono una maggioranza che non governa in una comunità che sempre meno capisce tutto questo.
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