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La voce di Scampia

Scampia, foto di Andrea SabbadiniScampia – foto di Andrea Sabbadini

Storie Daniele Sanzone è il cantante degli ’A67, vive in una palazzo popolare nel rione Monterosa e da lì racconta il suo quartiere con la musica e con i libri. Lo abbiamo incontrato a casa sua. «Sono nato su una piazza di spaccio, vivere qui ha condizionato tutta la mia vita»

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 5 aprile 2024

Il cantante degli ’A67 Daniele Sanzone vive in un palazzo di edilizia popolare nel rione Monterosa a Scampia, alla periferia nord di Napoli. Lungo le pareti dell’appartamento ci sono i dipinti di suo padre, che era un pittore, la copertina originale del disco Naples Power disegnata da Mimmo Paladino, una sua foto con Pino Daniele e un disegno originale di Dario Fo. Qui sta lavorando a un nuovo disco, che definisce come «il lato B di Jastemma», un disco che univa musica e letteratura, poiché le canzoni erano accompagnate da poesie e racconti di altrettanti autori, tra i quali c’erano Viola Ardone, Giuseppe Catozzella, Nicola Lagioia, Loredana Lipperini, Raiz e Alberto Rollo.

I SUOI GENITORI FINO AL 1980 vivevano a Poggioreale, nella zona orientale della città. Poi arrivò il terremoto, il palazzo in cui vivevano crollò e loro furono sfollati. Erano in attesa di una casa popolare «che non arrivava mai» e così, quando seppero che c’era un appartamento libero in uno degli edifici appena costruiti a Scampia, vi si stabilirono d’ufficio e non si mossero più da lì. «Per diversi mesi non abbiamo avuto neppure la corrente elettrica», racconta. Il fatto di essere cresciuto in un quartiere difficile, affacciato su una piazza di spaccio sopravvissuta ai blitz della polizia e alle guerre di camorra, «ha condizionato tutta la mia vita», dice. «Per me la scrittura, cominciata con la poesia e proseguita con le canzoni e con i libri, è stata una valvola di sfogo».

DURANTE IL BLOCCO FORZATO provocato dalla pandemia di Covid, tra il divano nella camera dove lavora e affacciato al terrazzo del suo appartamento ha immaginato la prima inchiesta del commissario Del Gaudio, il protagonista del suo primo libro noir, che è un po’ un alter ego e in parte è ispirato a un poliziotto vero: il commissario Michele Spina, che a Scampia ha chiuso decine di piazze di spaccio. Si tratta di un irregolare combattuto tra l’amore e l’odio per il suo lavoro, amante della boxe e del pugile Marvin Hagler, che è venuto davvero da queste parti nel 2018, per parlare di bullismo ai ragazzi delle scuole superiori. «Ero abituato a vedere i boss che dicevano alle guardie di andare via e queste obbedivano, per me i poliziotti erano o corrotti o violenti, forse per questo ho creato un personaggio atipico», dice.

foto di Andrea Sabbadini
foto di Andrea Sabbadini

IL LIBRO, CHE SI INTITOLA Madre dolore (Les Flâneurs Edizioni), è stato pubblicato lo scorso autunno. Dal suicidio di una donna si dipana un noir in cui i protagonisti sono inventati ma i luoghi in cui in cui si muovono i personaggi sono reali, dal il ristorante italo-rom Chikù all’Auditorium, alla Parrocchia della Resurrezione e all’Asse Mediano, la strada che taglia la periferia settentrionale di Napoli. «La storia è nata quasi per caso durante la pandemia, in un periodo in cui i concerti erano fermi, anche se mi ronzava in testa da tanto tempo», dice Sanzone. «Per me è stato un modo per raccontare sotto una luce inedita il mio quartiere».

NEL 2004, PROPRIO MENTRE a Scampia la guerra tra il clan Di Lauro e i cosiddetti «scissionisti» raggiungeva l’apice con 70 morti ammazzati e lui studiava Filosofia all’Università Federico II di Napoli, Sanzone fondò gli ’A67, che prendevano il nome dalla legge 167 del 1962 sull’edilizia popolare in Italia. «Ci chiamammo in questo modo perché quello era il modo di chiamare le case popolari di Secondigliano e noi volevamo avere una forte connotazione territoriale», dice.

Il loro primo disco, ‘A camorra song’ io, racconta come nasce la mentalità camorristica e invita a ribellarsi. Pare che all’epoca un boss del quartiere abbia commentato: se la camorra sono loro, io chi sono? «Quando usci, in piena faida, fummo accusati di dare una brutta immagine della nostra città», dice. Lo scrittore Roberto Saviano, che pubblicò Gomorra un anno dopo, li ha invece definiti «i capofila di un nuovo filone sociale della musica partenopea», poi proseguito in altri dischi come Naples calling, omaggio esplicito a London calling dei Clash.

IN UN ALTRO LIBRO, Camorra sound (Magenes), pubblicato nel 2014, Sanzone ha cercato di capire le ragioni profonde del silenzio della musica napoletana sulla criminalità organizzata. «Se sembra ormai evidente una sorta di legame tra il mondo dei cantanti neomelodici e il sistema, allora forse bisogna porsi un’altra domanda: la cosiddetta musica impegnata, quella che forse più di ogni altra avrebbe potuto o dovuto parlarne, dov’era?», scrive. Ci sono la contestazione allo Stato e la critica al capitalismo, ma la camorra di solito rimane sullo sfondo.

«CAMORRA SOUND» è tornato d’attualità quando il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, del Partito Democratico, ha deciso di premiare il rapper Geolier, che era appena arrivato secondo al festival di Sanremo con una canzone in napoletano. Maria Luisa Iavarone, madre di un ragazzo di 17 anni accoltellato nel 2017 da un gruppo di coetanei e docente di Pedagogia sperimentale all’università Parthenope, ha scritto su Facebook che il sindaco avrebbe almeno dovuto chiedergli di «rinnegare le sue posizioni su armi, droga, sesso, sessismo e sostegno alla criminalità organizzata». Si riferiva a un videoclip di una sua canzone, Narcos, in cui in cui «lo si vede imbracciare un mitra d’oro, ostentando armi potere e violenza» e canta frasi come «teng nu’ frat’ criminal’, so’ intoccabile a Secondigliano» («ho un fratello criminale, sono intoccabile a Secondigliano»).

SANZONE NON COMMENTA i testi di Geolier, ma dopo la sfiorata vittoria al festival di Sanremo è intervenuto sull’uso del dialetto napoletano. «Non si può accettare una tale mancanza di cura, di sciatteria, in questo si trova tutto il peggio dei nostri tempi e quello che poteva, e forse voleva, essere un omaggio alla nostra lingua sul palco più popolare d’Italia, mi è apparso come una grave mancanza di rispetto in un momento in cui la lingua napoletana va in classifica e la città è sotto i riflettori», ha scritto sul Corriere della Sera.

La polemica era stata avviata dallo scrittore Maurizio De Giovanni, che aveva scritto su Facebook che il napoletano «non merita questo strazio», «ha una sua scrittura e questa ha diritto al rispetto» poiché «è una lingua antica e bellissima, con la quale sono stati scritti capolavori immensi». In un’intervista a Repubblica aveva aggiunto di non comprendere «il bisogno di scrivere queste consonanti tutte insieme, che per capire devi provare a pronunciare ad alta voce».

Geolier, che vive nel rione Gescal di Mianella, un quartiere che confina con Scampia, si è difeso sostenendo in una conferenza stampa che «il mio è il napoletano dei rioni, quello che la gente respira, quello che i ragazzi dedicano alle ragazzine e viceversa. Non potrei parlarlo in un altro modo, l’ho imparato dalla strada». «Non si può scrivere come si parla, perché il napoletano, anche se come tutti i dialetti non è codificato, ha una sua sintassi che va rispettata. Sarebbe bastato che Geolier si fosse fatto aiutare a scrivere il testo da qualche esperto», conclude Sanzone, che nel 2022 ha vinto con Jastemma il premio Tenco per il miglior album in dialetto.


Jastemma, musica e parole a teatro
Dal disco Jastemma degli ’A67 è stato tratto uno spettacolo teatrale con lo stesso nome. Le canzoni sono quelle degli ‘A67, accompagnate dal piano di Elisabetta Serio; le parole di Viola Ardone, Luigi Romolo Carrino e Loredana Lipperini, recitate da Cristina Donadio e Ginestra Paladino, i disegni sono di Mimmo Paladino e la regia di Raffaele Di Florio. «Un flusso di coscienza fatto d’immagini, parole e canzoni che s’intrecciano e si rincorrono fino a diventare una sola parola, una sola immagine e una sola canzone che ci libera dalla tragedia del quotidiano. Un blues performativo, crudo e spietato che parte dal mondo degli ultimi per poi precipitare negli abissi di passioni che non concedono tregua né respiro».

’A67, un viaggio nella cultura di Scampia
Gli ‘A67 hanno esordito nel 2005 con «’A camorra song’io» (Polosud). Del 2006 è lo spettacolo «Alien’Azione. Dallo spazio periferico dritti al centro», con Amnesty International e Radio Popolare, portato nelle comunità di accoglienza. Nel 2008 è uscito il secondo disco «Suburb», un concept-album dedicato alle periferie del mondo con ospiti Mauro Pagani, ‘O Zulù, Francesco Di Bella, Valeria Parrella, Roberto Saviano. Nel 2010 hanno realizzato «Scampia Trip», un progetto multimediale per raccontare il quartiere attraverso la cultura. Nel 2012 hanno pubblicato «Naples Power» e nel 2020 «Naples calling», entrambi con numerose collaborazioni artistiche. Nel 2022 hanno pubblicato il cd-book Jastemma, che ha vinto la Targa Tenco come miglior album in dialetto dell’anno.

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