La sua giornata di gloria cinquant’anni dopo
Il Film Scritto e diretto da Edoardo Bruno nel 1968 invaso dallo spirito del tempo, riflessione su una rivoluzione che non c'è stata
Il Film Scritto e diretto da Edoardo Bruno nel 1968 invaso dallo spirito del tempo, riflessione su una rivoluzione che non c'è stata
«La rivoluzione è uno spettacolo» viene da pensare riguardando La sua giornata di gloria il film scritto e diretto da Edoardo Bruno nel 1968. In realtà, l’iniziale perorazione di Pierre Clementi – sequenza trapiantata nel film prelevandola dalle scene girate e poi non montate da Bernardo Bertolucci in Partner (1968) – sembrava affermare il contrario: «il cinema è la mossa rivoluzionaria contro la società dello spettacolo». Affermazione subito contraddetta, nel film stesso, da Claude che – leggendo I giorni della Comune di Brecht – afferma che la rivoluzione è da sempre stata, per la borghesia, nulla di più che uno spettacolo. Il cinema, seguendo le suggestioni di Brecht, dovrebbe essere come il teatro politico e rivoluzionario, ma la spettacolarità lo contamina inesorabilmente spostando il set – che pure è la messa in scena di un’azione rivoluzionaria – in un tempo immaginario che non incrocia la storia se non per paradosso. Ottobre (1928) di Ėjzenštejn era stato la ricostruzione epica – dieci anni dopo – dell’Ottobre di Lenin: La sua giornata di gloria ha narrato, in tempo reale, una rivoluzione che non c’è stata, né sul set né fuori.
Il cinema militante
Durante il tempo magico del Sessantotto risorse il cinema militante, il cinema non-industriale, il cinema indipendente (come si diceva negli States). Cinema ideato con ricca teoria, ma girato con modestia di mezzi tecnici e economici, con attori prestati e con una postproduzione avventurosa. Prima di quell’anno c’erano l’incertezza, forse la noia, sicuramente la rassegnazione. Lo ricordavano i fratelli Taviani (I sovversivi, 1967) dove i funerali di Togliatti scandivano l’ultima fine del comunismo novecentesco. Ma poi, in modo improvviso, repentino, imprevisto esplose l’energia tellurica della contestazione globale e cambiò tutto. Si aprì il tempo di Maggio. Perché nel Sessantotto non ci fu la «rivoluzione»?
Il taglio
A questo interrogativo risponde il film-situazione, il film-progetto di Edoardo Bruno. Distribuito nel 1969, La sua giornata di gloria è un film del Sessantotto, nel senso che è invaso dallo spirito del tempo oltre a descriverlo. Racconta l’intrapresa ideologica e politica di un gruppo di giovani rivoluzionari extraparlamentari muniti di marxismo e di leninismo. L’argomento, per la sua eversività, dovrebbe allontanare il film dalla spettacolarizzazione funzionale al sistema, ma diventa presto un plot drammatico e insieme ironico. Si muove su di un taglio: mostra l’azione rivoluzionaria, ma svela anche la sua intrinseca simulazione. Nella città (Roma) è in atto la guerriglia urbana dei giovani rivoluzionari. Il ribelle Claude è ucciso dalle squadre della repressione sotto gli occhi della sua ragazza, Marguerite. Responsabile involontario della sua fine è Richard – un altro rivoluzionario – che, irretito da un abile funzionario della polizia, ha divulgato incaute informazioni. Per riscattarsi agli occhi dei compagni che lo reputano un traditore, Richard li spinge a compiere una rischiosa azione terroristica. All’ultimo momento, però, paralizzato dalla paura – in quello che avrebbe dovuto essere «il suo giorno di gloria» – resta nascosto, disperatamente abbracciato a Marguerite.
La post-rivoluzione nel cinema
Le sequenze che mostrano la camionetta di poliziotti repressori che inseguono e uccidono i giovani rivoluzionari, fanno riemergere i grami persecutori di quanti leggono libri di Fahrenheit 451 di François Truffaut (1966), le scene efferate de La decima vittima di Elio Petri (1965) e preannunciano la gratuita crudeltà contro gli studenti contestatori de I cannibali di Liliana Cavani (1970). Gli attori, quando non sono in esterno, agiscono su fondali essenziali: muri materici e metafisici. Come nei Six contes moraux (1963-1972) di Éric Rohmer, le riprese stanno addosso alle persone e il racconto è calato nei dialoghi, nelle posture e negli sguardi. Con intellettualistica dissociazione, le parole dei rivoluzionari volano straniate: sono declamate, auliche, recitate dai classici del marxismo e del leninismo. La rivoluzione è taumaturgicamente evocata: i rivoluzionari leggono e parlano tra di loro, ma rendono la lotta politica parola astratta, esibizione di ideologia. Una traccia teorica scorre in parallelo alle immagini e evoca il «parlar filosofando» de La Chinoise (Jean-Luc Godard, 1967) e di Discutiamo, discutiamo di Marco Bellocchio (episodio di Amore e rabbia, 1969).
I sentimenti
La peculiarità di La sua giornata di gloria è l’irruzione di sentimenti che finiscono per sovrastare l’ideologia. Bruno descrive il fondo patico che impregna i personaggi, anche quando le loro parole vogliono esprimere razionalità, autodominio, dedizione alla nobile causa politica. La schizofrenia sessantottina fra gli istinti e i desideri, da un lato, e le ideologie e i programmi, emerge tumultuosa.
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