L’eccidio di Gaza e la questione palestinese stanno provocando divisioni sempre più profonde negli Stati uniti e specificamente all’interno del partito di Biden. Il sostegno incondizionato ad Israele è sempre stato un dato acquisito della politica, ed in buona parte dei media, americani, ma oggi vi sono indicazioni di un cambiamento. Un’indagine Quinnipac pubblicata la scorsa settimana registra un crescente divario nel partito democratico, in particolare fra elettori di meno di 35 anni, a causa del «sostegno totale» professato dal presidente nel suo viaggio in Israele dopo il 7 ottobre. Biden ha successivamente tentato di contenere la rappresaglia di Netanyahu, ma le sue esortazioni a «non ripetere gli errori» di passate reazioni americane, e le proteste del dipartimento di Stato per i «troppi morti civili» provocati dall’Idf, non hanno tuttavia avuto effetto. Di fatto molte delle munizioni che hanno raso al suolo o danneggiato più di diecimila edifici nella Striscia e provocato l’ecatombe sono forniture americane.

Il mese scorso Josh Paul, funzionario del Bureau of Political and Military Affairs ha rassegnato le dimissioni dal dipartimento di Stato per protestare la carta bianca sulle forniture di armi concessa al governo israeliano all’indomani degli attentati di Hamas. Paul ha rivelato che il Pentagono ha aperto un canale di emergenza collaterale alle normali procedure di approvazione per far fronte alle richieste di Gerusalemme. Biden ha chiesto al Congresso approvazione di un pacchetto di armamenti del valore di 14,3 miliardi di dollari in aggiunta alla fornitura annuale di circa 3 miliardi di materiali bellici al paese. Ma nel frattempo il Bureau of Political and Military Affairs che sovrintende alla smistamento di armi americane nel mondo, ha concesso il necessario per l’operazione a Gaza senza sorveglianza parlamentare, utilizzando ad esempio armamenti stoccati nel War Reserve Stockpile Ammunition-Israel (Wrsa-I), in sostanza un deposito avanzato di armi americane già in territorio israeliano per uso “urgente”.

Questo tipo di rivelazione e l’insostenibile conta di vittime civili  hanno alimentato in America un crescente movimento di protesta, con manifestazioni ed azioni di disubbidienza civile che continuano in dozzine di città. Le proteste a favore della Palestina – molte indette e guidate da associazioni pacifiste di giovani ebrei – hanno sopravanzato quelle pro Israele di 2 a 1. Solo la scorsa settimana sono stati bloccati ponti a Boston e San Francisco, oltre a Hollywood Boulevard a Los Angeles e numerose azioni a New York. Ognuna di queste proteste si è svolta in distretti liberal a forte maggioranza democratica. Sabato, a Sacramento, migliaia di manifestanti hanno interrotto i lavori del congresso del partito democratico californiano, un’indicazione dell’effetto che il conflitto sta avendo sulle tradizionali posizioni sul Medio Oriente soprattutto all’interno del partito democratico. Nel partito repubblicano il sostegno all’alleato israeliano è tuttora prevalente, e semmai rinsaldato dalla naturale affinità fra destra radicale per Netanyahu (anche se è contemporaneamente sempre più evidente la recrudescenza apertamente antisemita nelle frange estremiste del trumpismo – comprese certe propaggini di Twitter care ad Elon Musk).

Ma la questione è soprattutto divisiva a sinistra e nel partito del presidente, che tradizionalmente raccoglie consensi della stragrande maggioranza dell’elettorato ebraico, uno dei segmenti più affidabilmente progressisti del paese. Proprio nell’ala sinistra del partito il sostegno del presidente al governo Netanyahu sta trovando la critica più esplicita. Oltre che nelle piazze, questo è stato espresso al Congresso da rappresentanti come Cori Bush, parlamentare del Missouri e attivista di Black Lives Matter e specialmente da Rashida Tlaib del Michigan, unica rappresentante del Congresso di origini palestinesi. La loro critica di Israele ha infranto un tabù istituzionale e Tlaib è stata oggetto di una mozione di censura per aver utilizzato la dicitura “from the river to the sea” ritenuta antisemita per la presunta “eccessiva” aspirazione territoriale palestinese che implicherebbe. Tlaib fa parte dello Squad, il raggruppamento di parlamentari progressiste cui appartiene anche Alexandria Ocasio Cortez, promotrice, la scorsa settimana, di una lettera con cui 24 deputati hanno chiesto a Biden di intervenire più decisivamente per fermare la strage, soprattutto di bambini. Contro di loro è entrata in azione la principale lobby politica israeliana Aipac (America Israel Public Affairs Committee) che ha annunciato di voler finanziare con 100 milioni di dollari avversari politici dei firmatari.

Ventiquattro firme non sembrano molte su 435 parlamentari ma sono tuttavia degne di nota in un’istituzione così storicamente filo israeliana, e sono soprattutto un indicazione del mutamento in atto nella base del partito alla luce della pulizia etnica a Gaza. Mentre una maggioranza di Americani si dice ancora favorevole ad Israele, il sondaggio Quinnipac registra un forte aumento della simpatia per la causa palestinese – passata dal 13 al 24 percento nel corso dello scorso mese. L’effetto è soprattutto marcato nel segmento giovanile in cui il 50 percento considera «troppo unilaterale» il sostegno degli Stati uniti ad Israele e ben il 66 percento trova «eccessiva» la reazione israeliana agli attacchi del 7 ottobre. Se fra gli elettori democratici over-65 il sostegno ad Israele rimane forte, fra i giovani è sempre più sentita l’esigenza di una posizione morale sulla strage in corso. Un’altra linea di demarcazione è quella etnica, con 72% di bianchi a favore di Israele contro solo il 50% delle minoranze.

La spaccatura “generazionale” soprattutto rischia di costare cara a Biden poiché il segmento giovanile è una componente cruciale della coalizione di progressisti, donne e minoranze che il presidente deve riuscire ad attivare per avere possibilità di essere rieletto il prossimo novembre. Non depongono bene a questo riguardo episodi come quello avvento mercoledì scorso a Washington, quando manifestanti che protestavano per un cessate il fuoco all’esterno del Dnc (Democratic National Committee – la sede del partito democratico) sono stati violentemente caricati dalla polizia, mentre all’interno erano riuniti i principali leader Dem.