«Time to go, Joe». Così il titolo del commento di Mark Leibovich che dalle pagine di The Atlantic invita il presidente Biden a farsi da parte. Una voce in un coro di appelli affinché, per fare fronte alla minaccia esistenziale – per l’America e il mondo – di una seconda presidenza Trump, Joe Biden decida di passare il testimone a una generazione più giovane di potenziali leader del partito democratico. L’intervento che porta con sé il maggiore peso è probabilmente quello dell’editorial board del New York Times – che per tutta la giornata di ieri apriva il suo sito con un resoconto del panico fra i finanziatori del partito democratico – , un articolo che simbolicamente porta con sé la posizione dell’intera redazione.

«Chiedere un nuovo candidato democratico così avanti nella campagna elettorale è una decisione che non viene presa alla leggera – si legge nell’intervento – Ma riflette la magnitudine e la gravità della sfida lanciata da Trump alle istituzioni di questo Paese, e l’inadeguatezza di Biden a confrontarsi con lui».

IL BOARD DEL TIMES, così come Leibovich sull’Atlantic – ma simili opinioni sono state pubblicate su altri importanti testate mainstream come il Financial Times e il Wall Street Journal – fanno appello alla responsabilità di Biden: se si farà da parte gli americani lo apprezzeranno «per aver fatto ciò che Donald Trump non farebbe mai: mettere il Paese davanti a se stesso». Mentre la stampa più vicina ai democratici ha preso posizione, il partito stesso – dai parlamentari al governo – continua a fare quadrato intorno a Biden o perlomeno a tacere nervosamente. Ex presidenti di peso come Barack Obama e Bill Clinton si sono affrettati a rinnovargli il loro sostegno attraverso i social. «I cattivi dibattiti capitano. Credetemi, io ne so qualcosa» ha scritto Obama su X in riferimento al suo dibattito del 2012 con Mitt Romney. «Ma queste elezioni restano una scelta fra qualcuno che ha combattuto per le persone normali tutta la sua vita e un uomo a cui importa solo di se stesso». Biden «ci ha dato tre anni di solida leadership», ha aggiunto Bill Clinton.

MA DIETRO LE QUINTE, il panico continua a dilagare: il Nyt pubblica stralci di email e messaggi scambiati fra i più importanti finanziatori del partito già dai primi minuti del dibattito di giovedì notte: si parla delle prospettive, specialmente in considerazione del fatto che negli ultimi mesi la campagna di Trump ha azzerato e sorpassato la distanza economica con quella di Biden, che era partita con 100 milioni di dollari di vantaggio. Si parla di come poter raggiungere Jill Biden, la moglie del presidente che tutti inquadrano come l’unica in grado di innescare un cambio di rotta nello struggente precipitare di una tragedia globale in un dramma shakespeariano su un nucleo familiare già travolto ripetutamente dalle tragedie, e viceversa.

E SI PARLA di alternative: il totonomi che abbiamo visto in questi giorni, dal governatore della California Gavin Newsom a quella del Michigan Gretchen Whitmer e il segretario dei Trasporti Pete Buttigieg (e dal quale manca solo quello di Michelle Obama che al momento sembra in pole position solo nelle fantasie dei commentatori italiani).

INTANTO i repubblicani continuano a capitalizzare sulla debacle. A partire da Trump, che chiede raggiante durante un comizio in Virginia: «Qualcuno ha guardato una certa cosa chiamata dibattito?». Fino ai suoi scagnozzi della Camera che trasformano la difficoltà di Biden in un assurdo pretesto per appellarsi al 25esimo emendamento – se il presidente non è «in grado di esercitare i poteri e i doveri del suo ufficio», «tali poteri dovranno essere esercitati dal vice presidente». Il deputato Gop texano Chip Roy ha già introdotto alla Camera una risoluzione che richiede un ricorso a questo emendamento della Costituzione. Interpellato dai cronisti, lo speaker repubblicano Mike Johnson afferma, viscido: «In molti lo chiedono». «I membri del gabinetto dovrebbero interrogare i loro cuori».