«La squadra appartiene al popolo, non al regime»
I giorni dell'Iran La protesta in gioco: parla (in forma anonima) un allenatore e giornalista iraniano
I giorni dell'Iran La protesta in gioco: parla (in forma anonima) un allenatore e giornalista iraniano
Il campionato mondiale di calcio 2022 è diventato un incubo per lo stato iraniano data la sua terribile situazione politica interna. I 273 voli diretti a basso costo da Doha verso quattro città iraniane, offerte viaggi e pacchetti vacanze che avrebbero dovuto portare gli spettatori del campionato alle attrazioni turistiche, rimangono invenduti.
Jamshid Hamzezadeh, capo del consiglio di amministrazione della società degli albergatori del Paese, ha affermato che, da 20mila posti previsti, nemmeno una prenotazione è stata fatta dagli spettatori del mondiale in Iran.
E il tentativo del governo di riunire la nazione attorno alla bandiera per mostrare l’unione e la forza dello stato è diventato un braccio di ferro tra il governo e i suoi oppositori interni e esterni. Abbiamo intervistato il giornalista sportivo e allenatore Rashid (nome di fantasia) poco prima del fischio d’inizio di Iran-Inghilterra.
Come vive questo campionato del mondo?
A dire la verità, con molta amarezza. Malgrado tutte le difficoltà che la nostra federazione ha vissuto in questi anni, abbiamo una squadra eccezionale con talenti straordinari. Ci siamo qualificati negli ultimi tre turni dei mondiali e questa era un’occasione per fare vedere al mondo il valore della nostra squadra. Ma temo che ciò che succede oggi nelle strade del Paese avrà un peso psicologico per nostri ragazzi.
Il regime pretende che siano “buoni” rappresentanti della Repubblica Islamica, senza esprimere nessuna solidarietà con la gente che manifesta la sua sofferenza, con centinaia di famiglie di vittime uccise durante questi due mesi, che facciano finta di niente.
D’altra parte crescono le aspettative della gente che vuole che i suoi eroi facciano qualcosa di eclatante per manifestare il loro dissenso verso la brutalità del regime, e sostegno ai manifestanti. La disobbedienza dalla linea di condotta stabilita dal regime per i giocatori potrebbe significare la fine della loro carriera, mentre l’obbedienza può far loro perdere l’amore e il rispetto della gente, e far sì che vengano tacciati di essere servi di uno stato oppressore.
Ma Carlos Queiroz, allenatore della squadra iraniana, ha detto che i suoi giocatori possono protestare se vogliono.
Ali Karimi e Ali Daei, due stelle del calcio iraniano, hanno sostenuto le manifestazioni attraverso i social e hanno rifiutato l’invito della Fifa a partecipare ai mondiali. Karimi è dovuto fuggire all’estero e Daei è stato minacciato dal Corpo delle guardie rivoluzionarie, e accusato di agire contro la sicurezza nazionale. Loro hanno già avuto una carriera eccezionale e non hanno più nulla da provare. È diverso per un giovane giocatore che ha sognato i mondiali come l’apice della sua carriera.
La verità è che la politica avvilisce lo sport trasformandolo in uno strumento, svuotandolo della sua missione più alta cioè di creare amicizia e legami tra i popoli. Personalmente, mi piacerebbe che i nostri giocatori manifestassero la loro empatia con la gente che oggi rivendica i suoi diritti e con le vittime, come hanno fatto molti sportivi nel mondo per Black Lives Matter e in tante altre occasioni.
La squadra appartiene alla gente, alla nazione e non ad un governo così distante dai dolori del suo popolo. Tuttavia conosco le conseguenze di un simile gesto e capisco lo stato d’animo dei nostri ragazzi perciò se non lo faranno non avrò nulla da rimproverare, rimangono per me grandi campioni come sempre.
Sembra che molti iraniani in diaspora presenti a Doha stiano organizzando manifestazioni contro la Repubblica islamica, che ne pensa?
Capisco i connazionali che vogliono sfruttare il momento per manifestare il loro dissenso. Fino a ieri chiedevamo di lasciare che i nostri campioni affrontassero quelli israeliani nelle arene mondiali dei vari sport (proibito dallo stato iraniano, ndr). Di tenere lontana l’avversità tra i due paesi dal campo di competizione sportiva.
Ora sembra che stiamo dicendo il contrario. Cosi diventiamo poco credibili. In generale però credo che gli sportivi siano persone, fanno parte della comunità, non è giusto mettere sulle loro spalle un peso per cui non sono preparati. Ogni giocatore è anche una persona con la sua sensibilità, le sue idee e la sua coscienza, deve essere libero di fare una scelta personale e dobbiamo rispettarla.
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