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La Spagna supera i 10mila morti. Lavoro in crisi nera

La Spagna supera i 10mila morti. Lavoro in crisi neraUno scorcio di Barcellona – Ap

Coronavirus Nel giorno peggiore per il Paese (il 20% delle vittime nel mondo) il dramma della disoccupazione: persi un milione e mezzo di posti in quindici giorni

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 3 aprile 2020

La batosta è storica. In 15 giorni, hanno perso il lavoro in Spagna un milione e mezzo di persone. Non si era mai visto un crollo del genere. E tutto questo quando il virus ha fatto quasi 1.000 vittime in 24 ore e il numero di morti ha superato le 10mila persone. 110mila sono i contagiati ufficiali, in 6.000 sono stati ricoverati in terapia intensiva.

Formalmente, sono 900mila le persone che da metà marzo (quando è stato dichiarato lo stato d’emergenza) hanno smesso di pagare i contributi. 300mila di queste si sono già messe in fila negli uffici per la disoccupazione per chiedere il sussidio, il triplo che nel peggior mese per la Spagna: il gennaio 2009. Ma la maggior parte di chi ha perso il lavoro era a tempo determinato, e in molti a cui non è stato rinnovato il contratto non hanno diritto alla prestazione. A queste 900mila persone bisogna aggiungerne altre 620mila che sono in cassa integrazione: non contano ufficialmente come disoccupati, ma di fatto hanno perso anche loro il lavoro (sebbene temporaneamente). E non basta: c’è ancora una valanga di richieste di cassa integrazione (la ministra del lavoro Yolanda Díaz ha parlato di 250mila aziende), che il governo ha incoraggiato per evitare di mandare per strada ancora più persone, ma che per ora non è riuscito a smaltire. Si calcola che il numero di cassaintegrati potrebbe triplicare. Così come il numero di disoccupati è destinato a crescere con il blocco totale delle attività decretato dal governo: anche se da venerdì scorso il licenziamento è stato proibito, infrangere la norma con la legislazione del lavoro attuale promossa dal partito popolare alle imprese costa pochissimo (non esiste l’articolo 18), considerato che la gran parte dei lavoratori sono a tempo determinato o con poca anzianità.

IL MINISTRO DEL WELFARE José Luís Escrivá ha illustrato con un esempio l’entità della crisi: in 14 giorni sono stati distrutti tanti posti di lavoro quanto in 100 giorni nel picco dell’ultima crisi, coincisa con il crollo dei Lehmann Brothers, fra l’ottobre del 2008 e il febbraio del 2009.

Il numero dei contribuenti negli ultimi mesi andava lentamente crescendo, dopo aver raggiunto un minimo storico nel febbraio 2013: 16 milioni di contribuenti e 5 milioni di disoccupati.

All’inizio di quest’anno i contribuenti erano più di 19 milioni, e 3 milioni e 250mila disoccupati. Ora i disoccupati ufficiali sono più di 3 milioni e mezzo, e i contribuenti poco più di 18 milioni. Un altro dato che rappresenta molto chiaramente la crisi è la caduta a picco dei nuovi contratti. In Spagna si firmano circa 2 milioni di contratti al mese, il 90% dei quali sono temporanei.

Rispetto al marzo scorso sono crollati del 27%. La ministra del lavoro Díaz ha anche ricordato che, a febbraio, il 65% dei disoccupati riceveva un sussidio: la speranza della ministra viola e del governo è che con la batteria di misure sociali prese nelle ultime settimane questa percentuale rimanga stabile o che migliori nonostante la valanga di nuovi senzalavoro.

RISPETTO ALLE PROSPETTIVE su questa crisi, ieri il ministro della sanità Salvador Illa ha riferito in parlamento, dicendosi convinto che la famosa curva dei contagi si va stabilizzando, benché il ritmo di rallentamento del tasso dei nuovi infetti sia molto lento (la settimana scorsa cresceva il 20% al giorno, ora siamo sul 10%). «Ho ben chiaro che quando parliamo di morti non esistono dati buoni, ma permettetemi un barlume di speranza», ha detto, pur anticipando che si prospettano ancora «settimane dure». L’opposizione e anche alcuni alleati, come il Partito nazionalista basco, ha attaccato il governo per aver preso le misure più dure «unilateralmente», una critica che il governo ha accettato ma che giustifica con l’urgenza di dover prendere decisioni rapide secondo l’andamento del virus. Illa ha anche promesso che fra le prime decisioni che si prenderanno in considerazione se le cose miglioreranno ci sarà quella di permettere brevi uscite per i bambini.

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