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La Spagna non è un paese per donne

La Spagna non è un paese per donnemanifestazione Podemos – Ap

Crisi Il voto femminile sarà determinante alle elezioni del 20 dicembre, ma le discriminazioni a livello sociale ed economico restano fortissime

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 11 dicembre 2015

Sono passati più di 80 anni da quando le donne spagnole hanno conquistato il diritto di voto, ma ci sono cose che proprio non cambiano mai.

Solo 27.792 donne in Spagna ricevono un salario superiore a 10 volte il salario minimo, contro 105mila uomini. I maschi, indisturbati, si accaparrano un 82% degli stipendi più alti. Lo dice, con cognizione di causa e dati alla mano, l’agenzia tributaria dello stato.

La disoccupazione femminile riguarda un milione di donne in più degli uomini. A luglio del 2015 il tasso di disoccupazione per le donne era del 24,01%, mentre quello degli uomini del 20,09%. Poi quasi 5 milioni di casalinghe che lavorano gratuitamente, senza assistenza sanitaria, senza vacanze retribuite, senza una prospettiva di pensione, con settimane lavorative fatte di una media tra le 30 e le 60 ore. Vecchi genitori, figli, mariti, cani, gatti e la casa di cui prendersi cura. La nuova forma di welfare a costo zero per ogni governo. E ancora 3 milioni di vedove che percepiscono un 51% di salario dalla reversibilità della pensione del marito, circa 400 euro di media con cui sopravvivere, a fatica. Un milione e 700 famiglie chiamate monoparentali, in realtà «monomadrentali» perché un buon 80% si regge su una donna.

Come nel resto d’Europa, la crisi si è accanita di più con le donne, non solo per quanto riguarda salari ed occupazione.

Il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza continua ad essere messo in discussione, le minori possono abortire solo con il consenso genitoriale, sottovalutando il rischio che potrebbero essere coinvolte proprio in una violenza all’interno della famiglia. Di tutti gli aborti solo il 3% è praticato in strutture di sanità pubblica, favorendo il ricorso alla sanità privata o a aborti fai da te con pillole abortive comprate online.

È solo un breve riassunto delle disuguaglianze subite dalle donne spagnole.

A questo si possono aggiungere le 150mila denunce per maltrattamenti sessisti effettuate ogni anno e le assassinate da terrorismo machista: la Spagna ha il suo triste primato tra i paesi europei sulla violenza contro le donne.

Le elezioni politiche del 20 dicembre sono considerate le più imprevedibili della recente democrazia spagnola, per la novità dell’ampia scelta di opzioni da votare e per l’enorme numero di indecisi, come rilevano tutti i sondaggi.

La campagna elettorale sta girando intorno alla situazione economica e, se si vuole fare abboccare gli indecisi, la pesca sarà più ricca se la rete verrà lanciata tra le donne: ogni 100 uomini indecisi ci sono 151 donne che ancora non hanno scelto per chi votare. Il voto femminile sarà quindi determinante il prossimo 20 dicembre, ma non c’è nessuna donna tra i candidati alla presidenza del futuro governo spagnolo. Il solito schieramento monosessuato di possibili premier.

Eppure dal 1975, anche se legalizzato solo nel 1981, esiste in Spagna un vero e proprio Partito Femminista (PFE), oggi confluito in di Izquierda Unida. Esiste anche una coalizione, Iniciativa Feminista, il programma è già nel nome, che parteciperà alle prossime elezioni con 6 candidature per le province di Valencia, Burgos y Castellón. Ma non basterà.

Solo il 34% delle candidature presentate in tutte le 52 circoscrizioni elettorali dalle principali forze politiche (PP, PSOE, Ciudadanos, Podemos, Unidad Popular-IU) hanno una donna come capolista.

I partiti rispettano la legge che impone di mantenere almeno un 40% di posti per ogni sesso, non proprio la parità, ma con un trucco.

Quasi tutte le liste sono state confezionate in maniera che sia meno probabile per le donne ottenere seggi nel futuro Congresso. I socialisti del PSOE vogliono ammaliare con la scelta di ben 26 candidate in testa di lista, il 50%, un record! All’estremo opposto la coalizione di Ciudadanos è quella con minor numero di donne. La scusa, per tutti, è che quando le liste vengono decise con le primarie si punta al merito e non al genere.

Resta più di qualche dubbio. E qualche colpo di teatro come il tweet di Pablo Iglesias per annunciare la candidatura per Podemos di María José Jiménez la presidente dell’Associazione delle Gitane Femministe.

Ma in fondo quello che manca a tutti i partiti è qualche idea femminista nei programmi che affronti la rinegoziazione del debito pubblico, che realizzi una vera riforma fiscale, la redistribuzione del reddito, che permetta a uguale lavoro uguale salario tra donne ed uomini, che abbia dei contenuti reali contro il terrorismo machista.

La crisi economica ha faccia di donna e la femminilizzazione della povertà è un fenomeno sociale ancora in attesa nell’agenda istituzionale spagnola.

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