In Leggere il testo e il mondo, un volume di oltre un decennio fa che celebrava i vent’anni di scritture della migrazione in Italia, uno dei curatori, Fulvio Pezzarossa, richiamandosi a Edward Said e alla sua riflessione sull’esilio, spiegava come nei confronti di autori da tempo soggetti alle più diverse denominazioni – migranti, italofoni, postcoloniali, esponenti di una letteratura nascente o maggiorenne – fosse necessario abbandonare la loro localizzazione nelle zone d’ombra culturali in cui erano stati relegati, rispondendo semplicemente «alla sfida di trovare sensibilità, concetti, parole adeguate a scrivere e descrivere l’orizzonte che si espande inesorabilmente verso la mondialità, anche sul piano della creazione testuale».

Il romanzo di esordio di Espérance Hakuzwimana, Tutta intera (Einaudi, pp. 216, euro 17,00) è contraddistinto da una sorprendente geografia narrativa costituita da strade, piazze, fiumi, quartieri, case e terreni che sembrano appartenere a più luoghi italiani, pezzi di paese in cui maturano le storie di personaggi, perlopiù adolescenti, figli di immigrati o approdati in Italia nei modi più svariati.

La voce narrante appartiene a una ragazza di colore, di nome Sara, che ha ventitré anni ed è stata adottata all’età di due mesi da una famiglia benestante: figlia di un professore di liceo e della cuoca dell’asilo, è amata da tutto il quartiere.

Da un lato, Sara racconta l’evolversi della sua esperienza di insegnante di italiano in un corso di potenziamento rivolto a soli studenti stranieri in una scuola di periferia; dall’altro, ripercorre parallelamente la sua vicenda personale, l’infanzia e l’adolescenza vissute nel benessere e al contempo nel pregiudizio, nell’impossibilità di comprendere a fondo la sua appartenenza. Sara compie un attraversamento di confini fisici, mentali ed emotivi, in cui entrano in gioco conflitti sociali ed economici, relativi a problemi di esclusione e marginalità, i cui confini sono assai labili.

«Pensavo di essere entrata nella loro lingua, ma mi sono illusa. La lingua è un campo di battaglia… dialetti, accenti, cadenze, lingue nuovissime o storpiate, antiche. Quando supero il Sele quello che mi sembrava arabo diventa lingua latina, slava, non combacia mai con le mie supposizioni, con i volti che incrocio».

Hakuzwimana lascia parlare i personaggi nelle loro lingue senza mai tradurre frasi ed espressioni, e consegnandole al corsivo: un esempio di passaggio di codice che restituisce il mondo così com’è nelle città, periferie e campagne italiane oggi. Al pari di autori black British come Farroukh Dhondy, Hanif Kureishi e Gautam Malkani, Tutta intera mette in discussione i confini interni della nazione contemporanea, offrendo la possibilità di incrociare le radici e le strade delle culture, componendo ciò che Jedlowski definisce «il palazzo labirintico di tutte le storie del mondo».