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La solita ingerenza Usa ostacola il dialogo a Cuba

La solita ingerenza Usa ostacola il dialogo a CubaScaffali semivuoti in una farmacia de L’Avana: la carenza di medicinali è tra le ragioni della protesta delle scorse settimane – Ap

Americhe Le nuove sanzioni target Biden frenano la riconciliazione nazionale avanzata da L’Avana e dagli intellettuali dell'isola caraibica. Il presidente Díaz-Canel nega le violenze sui manifestanti, poi apre alle loro richieste

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 25 luglio 2021

Dopo quasi sette mesi di «revisione della politica degli Stati uniti verso Cuba», l’Amministrazione di Joe Biden ha partorito esattamente la stessa linea del suo predecessore Donald Trump: sanzioni per far cadere il governo socialista dell’isola.

Il presidente Biden ha messo in chiaro che quelle prese nei giorni scorsi contro il ministro della Difesa cubano e contro la brigata antisommossa dei “baschi neri” «sono solo l’inizio». E che seguiranno altri provvedimenti allo studio. Si tratta di misure che in apparenza vanno nel senso delle richieste di buona parte della popolazione dell’isola.

Ma che nascondono – e nemmeno molto – sempre lo stesso scopo: una forte ingerenza nella politica interna cubana. Si tratterebbe di togliere alcune delle forti restrizioni imposte da Trump sull’invio di rimesse dei cubano-americani nell’isola caraibica e di aumentare il personale dell’ambasciata statunitense all’Avana, di fatto chiusa dalla precedente presidenza.

La riapertura di una sezione consolare della rappresentanza diplomatica statunitense dovrebbe permettere ai cubani che chiedono un visto per gli Usa di non dover andare fino in Guyana o in Colombia per presentare le loro richieste, come avviene oggi.

Ma è chiaro che l’aumento del personale dell’ambasciata comporterà anche un certo numero di agenti coperti incaricati di soffiare sul fuoco di «una rivolta popolare contro la dittatura comunista».

Le rimesse – valutate negli anni scorsi attorno ai 3,5 miliardi di dollari – rappresentano una fonte di ingresso essenziale per una parte della popolazione. Ma anche una via per finanziare una serie di «oppositori».

Infine, l’amministrazione Biden sta studiando quello che dovrebbe rappresentare il colpo più duro: fornire ai cubani dagli Stati uniti un accesso gratuito a internet, come strumento di autorganizzazione ma anche come un potente canale di fake news, quello che il governo cubano definisce un golpe blando.

Questa sorta di coazione a ripetere politiche interventiste e imperialiste dei presidenti statunitensi, compreso Biden – condannata, come riferito nell’articolo da New York, da centinaia di personalità internazionali – rende più difficile la politica di dialogo e conciliazione nazionale a Cuba, richiesta a gran voce da una serie di intellettuali dopo le manifestazioni popolari dell’11 luglio.

L’embargo e la politica aggressiva degli Usa costituiscono la causa principale della crisi economica e sociale di Cuba. Ma non l’unica. Come sostiene lo storico e giurista Julio César Guance «non si possono ignorare le dimensioni popolari della protesta. Bisogna ascoltare quello che il popolo cubano sta dicendo per comprendere quali sono le radici di questa situazione. Esiste un lungo elenco di richieste e un problema strutturale nella politica cubana».

Ovvero un malessere generalizzato per la mancanza di generi di prima necessità e per riforme promesse e ancora rimandate, al quale si aggiunge, specie nei giovani, la richiesta di riforme politiche.

Il famoso cantautore Silvio Rodriguez ha lanciato un appello perché venga applicata un’amnistia» per i manifestanti non implicati in atti violenti. L’iniziativa è avvenuta dopo un incontro con il drammaturgo Yunior García Aguillera – uno degli artisti che chiede riforme politiche e che era stato fermato l’11 luglio – con lo scopo di disinnescare, per quanto possibile, le accuse infuocate che vengono da Miami contro «processi sommari» che sarebbero in corso contro «centinaia di manifestanti arrestati».

Uno di questi, il cameraman Anyelo Troya, uno degli autori del videoclip della canzone Patria y vida, diventata l’inno delle proteste, è stato condannato mercoledì a un anno di carcere.

Da parte sua il governo nega che sia in corso una repressione. Da una parte rivendica il diritto della «Rivoluzione cubana a difendersi da manovre di destabilizzazione». E sostiene che i processi in corso avvengono con le garanzie costituzionali. Dall’altra lancia segnali di voler ascoltare il malessere della popolazione.

Il presidente Miguel Díaz-Canel si è recato giovedì nel quartiere popolare di Romerillo all’Avana per incontrare gli abitanti e rassicurarli che dalla crisi in corso «usciremo insieme».

Anche la rivista degli studenti universitari Alma Mater ha lanciato un appello a «unirsi in favore della pace sociale, nonostante le differenze di posizione».

La rivista annuncia che condurrà un’inchiesta «sugli episodi di abuso di forza da parte della polizia» denunciate dallo studente Leonardo Romero. Uno dei maggiori traumi delle proteste sono stati le immagini di violenze sui manifestanti.

A complicare una situazione sociale tesa, Cuba sta affrontando la più pericolosa ondata di contagi dovuti soprattutto alla variante delta del Covid-19: ieri 7700 nuovi casi e 68 vittime.

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