Il 14 luglio arrivava a Trieste una notizia che i 973 dipendenti Wärtsilä non avrebbero mai voluto sentire. La proprietà finlandese comunicava l’intenzione di chiudere lo storico stabilimento creato dall’Iri nel 1966 dove si producono motori per navi, delocalizzandone la produzione e licenziando 451 lavoratori. Lo stabilimento di Bagnoli della Rosandra rappresenta un polo d’eccellenza sia per Trieste che a livello nazionale. I suoi operai sono portatori di un prezioso sapere tecnico grazie al quale vengono fabbricati motori per navi venduti in tutto il mondo. In Wärtsilä lavorano maestranze specializzate che guadagnano stipendi importanti dalle cui attività dipende un indotto di oltre 400 operai che rischiano a loro volta di perdere il lavoro. In una città caratterizzata da un tessuto industriale già fortemente eroso, la chiusura delle linee di produzione si annuncia come una bomba sociale. Perdere lo stabilimento significherebbe dunque creare un problema alla città, ma anche infliggere un duro colpo al tessuto industriale di tutto il paese. Per questi motivi la cittadinanza già il 21 luglio reagiva alla notizia della chiusura riempiendo piazza Unità d’Italia con oltre 2mila persone. Replicando il 4 agosto in piazza della Borsa.

Poi la settimana scorsa una novità ha fatto salire il livello dello scontro: la coreana Daewoo aveva richiesto la consegna di 12 grandi motori che sarebbero dovuti partire dal porto di Trieste. Tuttavia gli operai della Sea Metal e i portuali, in solidarietà dei lavoratori Wärtsilä, hanno reso impossibile la spedizione proclamando lo stato di agitazione. Condizione che rimarrà tale fino alla risoluzione positiva della vertenza. Azione benedetta anche dal presidente del porto di Trieste, Zeno D’Agostino.

La protesta cresce in maniera lenta e inesorabile. Molte sono le realtà solidali che si sono mosse. Fra queste i lavoratori della Seadock (azienda del porto), della Flex (elettronica) e della Principe (salumi). E le forze politiche locali con in testa i municipalisti di «Adesso Trieste» che da giorni chiedono al sindaco di emanare un’ordinanza che impedisca all’azienda di muovere i motori fuori dai cancelli della Sea Metal. Provvedimento analogo a quello adottato dal sindaco di Campi Bisenzio nei confronti della Gkn. «Non si può fare – ha dichiarato il sindaco Dipiazza – perché andiamo incontro ad una sorta di abuso d’ufficio. Potrebbero farci causa e ottenere il risarcimento». Di tutt’altro avviso il capogruppo in Consiglio comunale di Adesso Trieste, Riccardo Laterza: «Le basi legali di un provvedimento del genere ci sono tutte come già dimostrato a Campi Bisenzio con la Gkn. Il sindaco Dipiazza sceglie di non schierarsi e scegliendo la neutralità mette se stesso e il Comune dalla parte del più forte. E cioè della multinazionale finlandese».

In questi giorni nella società triestina si coglie uno stato di agitazione diffusa che spinge la protesta dal basso. Il pensiero che più di mille operai smettano di guadagnare gli stipendi con cui vengono pagati mutui e sostenute le spese, su cui vivono anche tante attività commerciali locali, fa paura. L’idea che Trieste possa perdere la sua vocazione produttiva non va giù a un largo numero di cittadini. La situazione vissuta dai lavoratori Wärtsilä è un film già visto. Quante sono le aziende in salute che negli anni sono state delocalizzate? Per questo parlare di Wärtsilä significa parlare anche di Gkn e di tutte quelle realtà che sono state chiuse in Italia. Significa parlare di quanto le delocalizzazioni impattino sulla vita di migliaia di famiglie e di quanto sia ormai maggioranza sociale quel blocco di cittadini che non è più disposto a subire passivamente tali processi. A Trieste sono in molti ad avere le idee chiare su come uscirne. Lo stabilimento deve essere salvato con un intervento dello Stato che scongiuri il fermo produttivo. Quello che si chiede alla politica è semplicemente di agire per difendere gli interessi della città e del paese. A Trieste è cominciata una battaglia che riguarda tutti noi. E siamo solo l’inizio.

* Paese Reale