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La «slot machine» dei reati che riempie le carceri e intasa i tribunali

La «slot machine» dei reati che riempie le carceri e intasa i tribunaliNapoli, rivolta dei detenuti nel carcere di Poggioreale – LaPresse

Reclusione per le donne (rom) incinte e con figli, pene per chi scrive a un detenuto, punizioni per le rivolte. Il no dei penalisti. Plauso dei sindacati penitenziari. Delmastro contro la messa alla prova

Pubblicato circa un anno faEdizione del 18 novembre 2023

«Ormai il legislatore è una slot machine di nuovi reati che finiscono per ingolfare tribunali e carceri senza aumentare la sicurezza dei cittadini». Francesco Petrelli, neo presidente dell’Unione delle Camere penali, non si stupisce più di tanto del nuovo pacchetto sicurezza approvato giovedì in Consiglio dei ministri dopo un «confronto sostanziale e non meramente formale» («il primo dopo molti governi», se ne rallegrano Siulp e Siap) della premier Meloni con i sindacati di polizia penitenziaria. D’altronde, fa notare Petrelli, il provvedimento è perfettamente nelle corde di un governo «garantista nel processo e giustizialista nell’esecuzione penale».

Tra le tante brutture contenute nel disegno di legge licenziato dal tavolo dei ministri, infatti, ce ne sono alcune dal sapore non vagamente razzista, come la norma – pensata sostanzialmente per qualche decina di donne rom – che rende facoltativo e non più obbligatorio il differimento della pena per donne incinte o madri di prole fino a un anno di età, mentre con figli più grandi si stabilisce la reclusione delle madri in uno dei quattro Istituti a custodia attenuata (Icam) italiani. Che, si badi bene, sempre carceri vere sono. Soprattutto per i bambini.

Ma la norma con la quale Giorgia Meloni deve aver maggiormente soddisfatto i desiderata dei sindacati di polizia penitenziaria più di destra è contenuta nell’Articolo 18 (Disposizioni in materia di sicurezza degli istituti penitenziari), prevede pene fino a 8 anni di reclusione per chiunque promuova o organizzi una rivolta, fino a 5 anni per il solo fatto di parteciparvi. Una norma calibrata sulle rivolte dei detenuti del marzo 2020, quando in decine di carceri italiane la notizia del lockdown per il Covid seminò il panico tra i reclusi, ma gli ammutinamenti vennero soppressi violentemente con un bilancio di 13 detenuti morti. E lo stesso vale (fino a 6 anni di carcere) se la rivolta avviene in strutture d’accoglienza per migranti. «È irrazionale – commenta Petrelli – l’immissione in carcere di persone, in alcuni casi non identificate, con un pericoloso aggravamento del fenomeno del sovraffollamento, con moltiplicazione dei costi e dei rischi».

C’è poi il primo comma dell’Art. 18 del ddl Sicurezza, chiaramente ispirato al caso dell’anarchico Alfredo Cospito, che interviene invece sull’articolo 415 c.p. con un aumento di pena per chiunque, da dentro le carceri o scrivendo ad un detenuto, «istighi alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico». Insomma, per citare ancora Petrelli, «si sono criminalizzati dei comportamenti in maniera fantasiosa e si è messo in crisi il principio di determinatezza e tassatività».

Ma c’è anche la richiesta, da parte del sindacato Uilpa, per esempio, di «misure organizzative e d’efficientamento, a partire dal rinforzo degli organici della Polizia penitenziaria, mancanti di 18 mila unità, per prevenire e impedire ogni turbativa dell’ordine e della sicurezza carceraria, prim’ancora di doverla reprimere». Ieri, indirettamente, la risposta è venuta dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro durante un seminario sul sistema carcere organizzato dalla Lumsa a Roma. «In un anno abbiamo trovato le risorse per fare più assunzioni rispetto a quante ce ne siano state negli ultimi quindici anni». In attesa di vedere allocate queste risorse, la via maestra del governo però è sempre quella carcerocentrica: durante la sua lunga carriera di avvocato penalista, riferisce Delmastro, «non ho mai trovato qualcuno dei miei assistiti che tornasse dall’affidamento in prova ai servizi sociali dicendomi: “ho capito quello che è successo”. L’affidamento in prova al servizio sociale è il nulla. Io sono contrario a questo trattamento che fa acqua da tutti le parti».

Eppure ci deve essere un problema di comunicazione, in via Arenula, perché durante un altro convegno organizzato a Bari dai giovani avvocati dell’Aig, il suo collega Andrea Ostellari ha definito la messa alla prova un «vero strumento di educazione». Secondo Ostellari, la soluzione al sovraffollamento penitenziario è «investire in strumenti di rieducazione del reo, a cominciare dal lavoro, coinvolgendo direttamente le imprese negli istituti penitenziari».

A blindati chiusi, però. Perché, stando alle intenzioni di Delmastro, «ci raccontiamo che tutti i detenuti vogliono le celle aperte. È falso, ipocrita perché facciamo finta di non sapere che c’è una logica di sopraffazione all’interno degli istituti». Dunque, ha concluso il sottosegretario, «ci sono due risposte: o chiudo le celle, o aumento il numero di agenti che controllino che non ci siano sopraffazioni». È la slot machine. Dei reati, e delle idee. A volte un po’ confuse.

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