La manifestazione antifascista di Macerata come spartiacque: alla ricerca di parole e pratiche nuove, «perché i movimenti tornino ad essere centrali nel dibattito».

Quattrocento militanti in rappresentanza di una cinquantina di realtà sociali italiane si sono visti ieri alla Mole Vanvitelliana di Ancona, rispondendo alla chiamata partita dal Sisma di Macerata, dai Centri sociali delle Marche e dall’Ambasciata dei diritti. Sul palco gli oratori si alternano, sulle poltroncine arancioni dell’auditorium ci sono tanti volti giovanissimi, alcuni anche con carta e penna per prendere appunti. La scossa della tentata strage razzista di Luca Traini di un mese fa, il tremendo esito elettorale che ha visto la destra demagogica e pararazzista avanzare impetuosa mentre la sinistra gira a vuoto, crolla, quasi scompare: istantanee di una crisi politica profondissima. Si avverte l’emergenza di un tempo ostile, soffocante, eppure necessario per cercare di «tornare ad essere qualcosa», come spesso si è ripetuto ieri. Che la Lega e il Movimento Cinque Stelle siano stati i principali mietitori di consensi sullo sfascio sociale italiano è un qualcosa che fa male a tutti, o che quantomeno costringe tutti a guardare verso nuovi orizzonti di riflessione. «I movimenti cambieranno il futuro perché hanno la forza di trasformare il presente», è la scritta sopra i manifesti dell’assemblea. Sullo sfondo una bella foto del corteo di Macerata, «un momento di risveglio collettivo», quando tutte le forze antifasciste e antirazziste hanno capito che non si poteva più rimanere in silenzio.

Il senso della giornata di ieri, invece, si legge nella grande partecipazione di realtà provenienti da tutta l’Italia (una trentina gli interventi), in una comunione d’intenti che da anni non si vedeva più. Anche la data dell’assemblea, una settimana dopo il voto, ha un significato preciso: mettere una distanza precisa tra la lotta che ricomincia e la fiction della campagna elettorale.

«Le domande emerse in queste settimane possono avere una risposta che nasce solo da un momento di discussione collettiva – dice Paolo Cognini dei Centri sociali delle Marche –, è per questo che abbiamo immaginato l’assemblea di oggi».

A seguire, Stella Nanetti del Sisma ha parlato di «reddito universale», riprendendo un tema che dovrebbe essere caro alle sinistre di ogni latitudine, mentre i social network si riempiono di battute feroci – per lo più di matrice renziana – sui presunti assalti ai Caf meridionali per chiedere il reddito di cittadinanza pentastellato, segnando quello che probabilmente è il punto di non ritorno del rapporto tra il (fu) centrosinistra e i movimenti: la povertà non si irride, casomai si combatte.

Yacouba di Fight Right Abruzzo chiede un minuto di silenzio per Idy Diene, il senegalese ucciso a Firenze da Roberto Pirrone, che era uscito di casa per suicidarsi e invece ha aperto il fuoco contro l’uomo nero: una storia che sembra un manifesto dell’Italia contemporanea . «Il fascismo non va combattuto aspettando che succeda qualcosa – ha poi detto Yacouba –, bisogna combatterlo sempre».

Nel corso dell’assemblea anconetana è stato dato ampio spazio all’analisi dei risultati elettorali: «Non parliamo di ondata nera che avanza – spiega Francesco del centro sociale Askatasuna di Torino in uno degli interventi che hanno raccolto più applausi – ma il segno di un malessere grande. Chi ha votato Lega e Movimento Cinque Stelle, l’ha fatto per distruggere i partiti tradizionali, le avanguardie del neoliberismo». L’ammissione successiva, però, si tinge di amarezza: «I movimenti troppo spesso hanno sottovalutato le divisioni presenti nel Paese». Cioè, la lotta tra gli ultimi e i penultimi, tra gli italiani poveri e gli stranieri poverissimi, con i primi che se la prendono con i secondi perché nessuno sembra offrire una prospettiva migliore.

Gli stati generali anconetani delle realtà sociali italiani sono finiti con l’idea di rivedersi ancora un’altra volta, a Roma, ad aprile. Per ritrovarsi poi in ogni città, in ogni quartiere, in ogni strada. Ovunque.