I sanguinosi scontri tra agricoltori e pastori sono oggi la «principale sfida alla sicurezza della Nigeria». Lo affermava già alla fine del 2022 un report dell’International Crisis Group (Icg), secondo cui quello per le risorse idriche era diventato un conflitto ormai più mortale – oltre 20mila persone uccise dal 2000 secondo i dati dell’International Committee on Nigeria (ICON) – rispetto «all’insurrezione del gruppo jihadista Boko Haram nel nord-est».

Una conferma della gravità della situazione sono gli scontri e i morti di quest’ultima settimana, con oltre 150 vittime complessive. L’ultimo attacco è quello di domenica scorsa, 37 persone uccise in un campo profughi nello stato centrale di Benue. Erano contadini fuggiti con le loro famiglie, dopo essere stati costretti ad abbandonare la loro terra per le continue incursioni dei pastori nomadi. 50 persone sono state inoltre uccise nella comunità di Umogidi giovedì scorso e 47 nella comunità di Ikobi lunedì.

Il secolare conflitto sulla proprietà della terra tra pastori nomadi e agricoltori sedentari si è trasformato in un’aspra lotta per le risorse, causata dalla siccità e dalla desertificazione nel nord della Nigeria e più in generale nel Sahel, che spingono i pastori a migrare verso sud. La rapida crescita demografica del paese, che conta già 200 milioni di abitanti e dovrebbe diventare secondo l’Onu «il terzo paese più popoloso del mondo entro il 2050», peggiora una situazione già critica a causa anche dell’inerzia del governo centrale.

«L’apparato di sicurezza nigeriano ha fallito miseramente, creando un ambiente che incoraggia i pastori a usare la violenza per ottenere l’accesso alla proprietà privata per il pascolo, mentre gli agricoltori ricorrono all’autodifesa, spesso indiscriminata, per proteggere la loro terra», ha spiegato Ibrahim Thiaw, vicedirettore generale dell’Agenzia delle Nazioni unite per l’ambiente (Unep).

La tensione è particolarmente alta nella Nigeria centrale (Benue, Taraba, Ekiti), una vasta regione fertile dove i pastori e le loro mandrie – il paese conta quasi 135 milioni di capi di bestiame – sono accusati di saccheggio delle fattorie e dei raccolti.

Peggio ancora, il conflitto sta assumendo una svolta identitaria e religiosa, accentuando il divario tra un nord prevalentemente musulmano e il sud cristiano. Da settimane alcuni politici alimentano violente diatribe contro gli allevatori – per il 90% musulmani Fulani – accusati di «massacrare i cristiani» o di voler «islamizzare con la forza» le regioni dove sono minoranza.

Il presidente Muhammadu Buhari, che lascerà il potere a maggio dopo due mandati, lunedì ha condannato il massacro e attribuito i recenti attacchi di Benue ai jihadisti di Boko Haram infiltrati nelle file dei pastori. Ma secondo la maggior parte degli osservatori, i nomadi violenti sono spesso pastori transumanti da paesi vicini come il Camerun, il Ciad o il Niger alla fine della stagione delle piogge.

La lotta all’insicurezza sarà la grande sfida per il nuovo presidente Bola Tinubu, vincitore delle presidenziali dello scorso febbraio. Le forze di sicurezza ed il nuovo futuro governo stanno concentrando i loro sforzi per cercare di porre fine alle violenze jihadiste di Boko Haram e dello Stato Islamico dell’Africa Occidentale (Iswap) in un conflitto che in questi 15 anni ha causato oltre 50mila vittime e 2 milioni di profughi.