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La sfida vincente del centro-sinistra allargato

Laboratorio Padova Qui il Pd ha vinto solo grazie al sostegno deciso degli elettori che al primo turno avevano scelto Arturo Lorenzoni

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 27 giugno 2017

Nei 25 comuni capoluogo dove si è votato per questa tornata di amministrative, il Pd e il centrosinistra hanno subito una sconfitta inequivocabile. Secondo qualcuno «poteva andare meglio», ma sembra una consolazione da primo periodo repubblicano, quando terminate le consultazioni sembrava che tutti avessero vinto – o che nessuno avesse realmente perso. No, non è così. Il Pd ha perso, così come ha perso una visione neocentrista che pone il Pd al centro di coalizioni spostate a destra e non a sinistra – per usare un linguaggio semplificato. Da 15 capoluoghi controllati dal centrosinistra si è passati a 6: Cuneo e Palermo (vinti al primo turno), Lecce, Lucca, Padova e Taranto. Sono stati  persi comuni importanti quali Genova, Pistoia, La Spezia, Monza – solo per citarne alcuni.

Tra le realtà dove ha vinto il centrosinistra spicca Padova, vero e proprio laboratorio per un centro-sinistra allargato, inclusivo, dove il Pd ha vinto solo grazie al sostegno deciso ottenuto dalle elettrici e dagli elettori che al primo turno avevano scelto convintamente Arturo Lorenzoni, uscito a testa alta dal confronto al primo turno. Come ricordavano Vincenzo Romania e Marco Almagisti su questo giornale qualche giorno fa, Padova poteva – prima del ballottaggio – «suggerire qualche idea innovativa per la sinistra che verrà». Dopo il ballottaggio, quelle padovane sembrano essere tra le poche idee innovative premiate alle urne. Sia in termini di voti ottenuti (i voti ottenuti da Giordani al ballottaggio, 47.888, sono di poco inferiori a quelli attesi, quelli cioè dati dalla somma dei voti ottenuti da Giordani e Lorenzoni al primo turno: 50950 voti), sia in termini di partecipazione: Padova è uno dei capoluoghi dove il tasso di partecipazione elettorale è diminuito in misura limitata (-3,7 punti percentuali tra il primo e secondo turno), confermando l’attrattività di un modello di centrosinistra allargato senza il quale oggi Padova sarebbe amministrata dal centrodestra.

E Padova, come è noto, non è una roccaforte «rossa»: è nel cuore del Nordest, già subcultura «bianca» e poi culla della Liga Veneta, «la madre di tutte le leghe», secondo una famosa definizione di Franco Rocchetta. Se oggi Giordani è sindaco, e il centrosinistra è al governo della città, si deve ringraziare una coalizione variegata di partiti e interessi civici che hanno prima creduto in un altro candidato che meglio li rappresentava e, successivamente, hanno creduto in una possibile convergenza di interessi non solo in funzione anti-Bitonci bensì anche in vista di un governo più partecipato della città.

Le aspettative sono elevate verso quanto è stato presentato, durante i quindici giorni precedenti il ballottaggio, quale autentico modello di governo, che il centrosinistra locale non dovrà disattendere. Al contempo, da più parti si comincia a guardare verso Padova al fine di trarre indicazioni utili per la ricomposizione di un’area progressista che tenga insieme in modo vincente storie, peculiarità e passioni anche molto lontane dall’attuale Pd. Il fatto che un modello del genere abbia vinto a Padova, e che altri modelli opposti siano stati sanzionati dall’elettorato, dovrebbe essere preso seriamente in considerazione dall’attuale gruppo dirigente del Pd. Non è possibile sbrigativamente dire «poteva andare meglio», perché – se non vengono radicalmente riviste scelte programmatiche e finalità –  la prossima volta potrebbe andare molto peggio.

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