Cultura

La sfida di una città e di quanti la amano, oltre cliché e contraddizioni

La sfida di una città e di quanti la amano, oltre cliché e contraddizioni – LaPresse

L'antologia La raccolta «Napoli stanca», a cura di Mirella Armiero, per Solferino. Già il titolo suona inconsueto ed è la stessa curatrice, nel suo testo di apertura, a spiegare le ragioni di tale scelta: «Vivere a Napoli è faticoso, raccontarlo ancora di più e perfino fuggire via, perché è difficile lasciarla alle spalle. Una città che sotto il suo splendore spesso è stanca, ma soprattutto stanca chi le vuol bene»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 27 luglio 2023

È sempre molto difficile parlare di una città come Napoli. Le sue contraddizioni, la bellezza abbagliante delle zone più note, il degrado sempre in agguato rendono qualunque affermazione sulla città passabile di immediata smentita. Non è soltanto il disagio nel poter dire tutto e il contrario di tutto, ma il rischio di cadere nella banalità più estrema da un lato o, ancora peggio, nella Napoli da cartolina. Quella che Massimo Troisi ridicolizzava con affermazioni come: «A Napoli non piove mai, io mi sono comprato un impermeabile e ancora lo devo usare», «Da noi tutti mangiano solo la pizza, cantano e suonano il mandolino».

UN RISCHIO, quello della retorica da cliché, che negli ultimi tempi, grazie anche allo scudetto vinto dopo 33 anni, rischia di avvolgere in maniera ancora più pesante ogni discorso sulla città, componendo in concetti stereotipati e pacificatori ogni conflitto o contraddizione, evitando di intervenire su problematiche e situazioni drammatiche. Riuscire, allora, a lanciare sulla città di Pulecenella uno sguardo diverso, facendone emergere soprattutto gli aspetti meno conosciuti e, soprattutto, cercando di analizzare, criticare, spiegare e, perché no?, nel caso ironizzare su problemi, stili di vita, modi di agire che si agitano nel ventre di Napoli, diventa non soltanto utile e interessante, ma atto politico, volto a comprendere per poter cambiare le cose, coinvolgendo innanzi tutto il lettore in punti di vista, approfondimenti, possibilità di intervento.

Ed è quanto vuole fare una raccolta di testi di autori partenopei contemporanei, curata da Mirella Armiero, intitolata Napoli stanca. 17 scrittori raccontano la città nascosta (Solferino, pp. 304, euro 18,50). Già il titolo suona inconsueto ed è la stessa curatrice, nel suo testo di apertura, a spiegare le ragioni di tale scelta: «Vivere a Napoli è faticoso, raccontarlo ancora di più e perfino fuggire via, perché è difficile lasciarla alle spalle. Una città che sotto il suo splendore spesso è stanca, ma soprattutto stanca chi le vuol bene».

I TESTI RACCOLTI sono di genere diverso. Si parte con una sorta di invettiva di Benedetta Palmieri che elenca le tante contraddizioni della città e gli stereotipi che si continuano a usare e che sembra ricordare in qualche modo Napule è di Pino Daniele, nella sua struttura per opposizioni. E che in modo quasi ossimorico dichiara, in apertura di un libro dedicato a Napoli: «Vorrei che di Napoli non si parlasse più. Vorrei che non ne parlassimo noi, e che non ne parlassero gli altri. (…) Vorrei che non ci sentissimo sempre tutti autorizzati ad amarla, odiarla, insegnarle a campare».

Si continua con una sorta di reportage narrativi (Nativo, Zontini, Solla, Savarese, Lama, Fiore) spesso da luoghi non molto conosciuti come le scale del Petraio o il mercato dei fiori di Ercolano oppure San Giovanni a Teduccio e i comuni vesuviani o, ancora, Bagnoli.

Certo lo sguardo degli autori si posa anche su quartieri più noti, come Chiaia, il Vomero, Posillipo (Marino, Petrella) ma l’approccio è sempre particolare, fuori dai soliti schemi. Si arriva a narrare anche della diaspora napoletana a Milano con Cristiano de Majo e, pura fantascienza, con Marco Marsullo si narra di «Il Reame germanico semi-indipendente della Repubblica distaccata di Napoli». Racconti dalla struttura più tradizionale si occupano del mondo del cinema (Cerlino), di quello dei librai (D’Urso), delle nuove povertà (Alfano). Si parla, poi, del rap napoletano (Forgione) e delle conseguenze del Covid su vari ragazzi (Virgilio).

COSÌ COME si analizzano da parte di Maurizio Braucci i comportamenti violenti del passato e del presente delle fasce giovanili proletarie o comunque più disagiate, dimostrando come: «Al contrario di quello che si lamentava, non si trattava di barbarie e di plebaglia, ma di un avanzamento del civilissimo neoliberismo che tuttavia coincide con la barbarie, quella della modernità». E affermando con chiarezza che non si tratta di «una questione morale, è una questione politica, di quella dimensione che abbiamo abbandonato per dedicarci al consumo o alle professioni, lasciandola nelle mani di mediatori incapaci e, per dirla stavolta senza eufemismi, di veri e propri complici. Inconsapevoli o meno, pur sempre complici».

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