La Corte europea dei diritti dell’Uomo, con una sentenza del 23 novembre scorso, ha condannato ancora una volta l’Italia per la detenzione arbitraria senza basi legali in un centro di accoglienza/detenzione “Hotspot”. In questo caso di minori stranieri non accompagnati, giunti a Taranto nel 2017. I giudici di Strasburgo hanno sanzionato l’Italia anche per trattamenti inumani e degradanti, per il sovraffollamento della struttura, per la mancata nomina di un tutore, e per la violazione degli obblighi di informazione. Condizioni che ad ogni accesso nelle strutture di prima accoglienza, comunque denominate, si verificano ancora oggi.

A TALE PROPOSITO, in merito all’assenza di una base giuridica chiara e accessibile per la detenzione amministrativa, la Corte di Strasburgo non riscontra l’adempimento degli obblighi di informazione, che avrebbero potuto garantire ai ricorrenti la possibilità di contestare i motivi della loro detenzione. La Corte di Strasburgo osserva inoltre che il governo non ha indicato alcun rimedio specifico con il quale i ricorrenti avrebbero potuto presentare un reclamo relativo alle loro condizioni di accoglienza nell’hotspot di Taranto e dunque afferma che vi è stata una violazione dell’articolo 13 in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.

LA CORTE SOTTOLINEA il carattere arbitrario della detenzione amministrativa, di fatto un trattenimento informale, a fronte dell’impossibilità per i ricorrenti, minori non accompagnati, di lasciare la struttura dell’hotspot di Taranto, in violazione degli articoli 5 e 1 f) della Convenzione EDU. Quanto affermato dalla Corte, che nel diritto interno si sarebbe potuto fare valere con il richiamo all’art. 13 della Costituzione italiana, e del principio del superiore interesse del minore contenuto nella legge 47/2017, contrasta con le varie forme spurie di accoglienza/trattenimento di minori stranieri, contenuti nel recente decreto legge n.133/2023, che prevede, qualora si verifichino «arrivi consistenti e ravvicinati nel tempo», per i minori di età non inferiore a sedici anni, la prima accoglienza in sezioni separate dei centri per adulti, ex “legge Puglia”, o nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) gestiti dalle Prefetture, fino a 90 giorni, prorogabili per ulteriori 60 giorni, senza alcuna previsione che in questo periodo sia garantita l’informazione, la comunicazione di provvedimenti individuali, la nomina di un tutore o una effettiva separazione dei minori rispetto agli adulti.

LO STESSO DECRETO prevede poi altre «strutture ricettive temporanee esclusivamente dedicate ai minori non accompagnati…che abbiano compiuto quattordici anni», nelle quali la condizione giuridica delle persone che vi saranno «ospitate» appare priva di base legale.
La condanna non sorprende, colpisce piuttosto la pervicacia del governo che, con una raffica di decreti legge, per finalità propagandistiche, e con accordi con paesi terzi che prefigurano prassi di polizia in violazione dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo, adotta politiche di «gestione dei flussi migratori» in contrasto con i principi cardine dello Stato di diritto (rule of law) affermati dalle Convenzioni internazionali e dalla Costituzione, in particolare in materia di garanzie della libertà personale, di diritti di difesa e di tutela dei minori.

E ANCORA, SE MAI il Protocollo Italia-Albania troverà attuazione, chi effettuerà l’accertamento dell’età dei minori, che si dovrebbe presumere, e con quali garanzie? Il decreto legge n.133/2023 prevede un accertamento socio-sanitario dell’età affidato all’autorità di pubblica sicurezza, nell’immediatezza dello sbarco, «sulla base di rilievi antropometrici o altri accertamenti sanitari, anche radiografici» . Un procedura assai discrezionale, se si paragona con quanto prevedeva la legge Zampa n.47 del 2017. soprattutto perché si introduce l’espulsione di “minori” che, dopo questo primo accertamento, siano condannati in base all’art. 495 del Codice Penale per avere dichiarato un età diversa da quella accertata. E la presunzione di minore età? Siamo sempre più lontani dalla tutela del «superiore interesse del minore».

LA SENTENZA DELLA CEDU, come le precedenti condanne dell’Italia su analoghi casi di arbitraria privazione della libertà personale, ma si potrebbe anche richiamare la Corte Costituzionale (sentenza n.105/2001), conferma la correttezza dell’impostazione fornita dai giudici del Tribunale di Catania che non hanno convalidato, proprio per la mancanza di basi legali, una serie di trattenimenti informali nel centro Hotspot di Modica-Pozzallo. e costituisce un chiaro indirizzo che non potrà essere trascurato dalla Corte di Cassazione che si occuperà dei ricorsi proposti dal governo contro le decisioni dei giudici catanesi.