È deprimente leggere certi commenti all’indomani del Leone d’oro a Lav Diaz per il suo magnifico La donna che partì in cui la ricerca della polemica a ogni costo scandalizzata – «ma come, un film filippino di quatto ore in bianco e nero di un regista sconosciuto ecc ecc» – utilizza a suo supporto anche informazioni non vere – una proiezione stampa disertata – prova evidente dell’assenza di chi lo sostiene alla proiezione stessa. Per carità che un film non piaccia è più che legittimo, ci mancherebbe altro, quello che invece è professionalmente poco coerente è l’attacco gratuito, basato su ragioni che francamente col film hanno poco a che fare (dovremmo riflettere sull’importanza di fare informazione e sulla grande responsabilità).

Nessuno lo vedrà in sala, questo Leone avrà conseguenze negative per la Mostra sono i leit motiv degli ultimi giorni – e dispiace che vi si presti un cinefilo colto e raffinato come Enrico Vanzina che ha sempre, anche con le sue storie, avuto il gusto di dissacrare i format dominanti.
Invece per la Mostra, se si avesse la pazienza di uscire anche un solo istante dal cortiletto di casa nostra, questo Leone è un risultato ottimo perché la rilancia a livello mondiale tra chi, critici, programmatori, organizzatori di altri festival molto influenti a livello di «estetica glamour contemporanea» l’avevano cominciata anni fa a snobbare dicendo che era «vecchia», «sorpassata», «inutile» per dirigersi verso altri appuntamento, il festival di Locarno in testa, sì, proprio quello che ieri su qualche quotidiano veniva citato come esempio in negativo, forse ignorando le migliaia di persone che raccoglie sulla Piazza Grande ogni sera o in qualsiasi delle sue enormi sale.Al tempo stesso, l’equilibrato verdetto non ha scontentato nemmeno il cinema americano premiato in categorie importanti, e da tempo le major utilizzano la Mostra di Venezia come «punto di partenza» privilegiato nella corsa agli Oscar, in un rapporto ricostruito con pazienza e fatica e che sembra, vista anche la folta presenza americana in questa edizione, piuttosto consolidato al punto che molti film visti al Lido sono poi volati, ma in «seconda battuta» a Toronto. Sono sottigliezze da addetti ai lavori,, ma per chi fabbrica un festival costituiscono un risultato estremamente importante.

Nel cartellone della Mostra numero 73 Alberto Barbera ha cercato di combinare suggestioni diverse, e non solo tra i possibili Leoni d’oro ma anche nel concorso Orizzonti e nei fuori concorso, non lasciandosi sfuggire (come era accaduto lo scorso anno) film importanti per ciò che dicono sul cinema oggi e per come ne mostrano le tendenze. Molti dei titoli in gara riflettevano sull’’immaginario, come reinventare generi, narrazione, paesaggi emozionali e poetici, il postmoderno nel confronto col contemporaneo; non sempre riusciti soprattutto i film europei, che sembrano trovare una maggiore difficoltà a riposizionarsi rispetto alla propria Storia e alla dimensione attuale.

In qualche modo anche due dei film italiani in gara (Piuma è stato un tonfo inutile) andavano in questa direzione, in modo completamente diverso come diversi sono i cammini artistici e le esperienze dei loro autori. Parliamo di Questi giorni di Giuseppe Piccioni e di Spira mirabilis di Martina Parenti e Massimo D’Anolfi che sarò tra pochi giorni in sala, e il consiglio è andatelo a vedere e non vi fidate delle «palline» veneziane. Il primo è un on the road malinconico e tenerissimo nell’adolescenza e nella vita, fatto di ritmi impalpabili, istanti di vissuto, esperienze quotidiane, sentimenti con la grazia che il regista marchigiano dimostra in ogni film. E un amore sensuale per i suoi personaggi mai condannati né seviziati in nome di una forma.

Spira Mirabilis è un film-saggio dal movimento sinfonico, che seguendo il movimento degli elementi, aria, acqua, terra, fuoco, intreccia diverse storie dell’umano, la Storia e il sogno dell’immortalità materica però non esoterica… Sono stati molto criticati dalla stampa italiana e con ferocia eccessiva. Eppure loro come Pietro Marcello o Alessandro Comodin (col suo ultimo I tempi felici verranno presto era alla Semaine di Cannes) rappresentano le nuove tendenze nel mondo del cinema italiano, basta sfogliare il programma di Toronto o del Moma o della Viennale. E se anche il cinema che fanno è imperfetto ha una vitalità che allarga l’orizzonte dell’immaginario nazionale.

È interessante anche che a sostenerli ci sia il servizio pubblico, Raicinema, una cosa ovvia direte ma non così tanto se si pensa al «format» Rai di una manciata di anni fa, e che invece adesso prova a sintonizzarsi su molteplici direzioni delle immagini, come dimostra un altro film, il vincitore di Orizzonti Liberami che con questi condivide la caparbia determinazione nel seguire una linea artistica personale. Qualcosa sta accadendo in Italia e la Mostra con le sue scelte ha provato a coglierlo. Un’ottima scommessa.