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La scienza secondo Trump

La scienza secondo TrumpAllerta smog a Pechino – Reuters

L'America che verrà Il budget federale per le attività di ricerca e sviluppo in Usa è pari a circa 150 miliardi di dollari, ma l'arrivo del nuovo presidente alla Casa Bianca induce molti scienziati al pessimismo. Qualche considerazione su cosa ne sarà dell'eredità Obama e degli accordi internazionali sul clima

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 20 novembre 2016

Fino al 4 novembre, la comunità scientifica statunitense ha protestato per l’assenza del tema della ricerca nei dibattiti tra Trump e Clinton e nei loro programmi di governo. Una volta eletto Trump, l’atteggiamento di molti scienziati è decisamente cambiato: ora la maggior parte di loro spera che anche le poche cose dette dal presidente in campagna elettorale non si traducano in atti concreti.

Donald Trump ha mantenuto una posizione anti-scientifica su molte questioni rilevanti. Se alle parole seguissero i fatti le conseguenze non ricadrebbero solo sugli scienziati statunitensi. Ma, come vedremo, non saranno tutte necessariamente negative.

La posta in gioco è elevata. Il budget federale per le attività di ricerca e sviluppo è pari a circa 150 miliardi di dollari: vale un terzo dell’intera spesa nazionale per l’innovazione, ed è pari a quasi un decimo dell’intero Pil italiano. Il complesso scientifico e tecnologico americano funge da traino per la comunità scientifica mondiale ed è integrato con l’apparato militare, l’industria e l’agricoltura: può determinare svolte di portata planetaria.

Il cono d’ombra

Nell’attesa di atti concreti, diversi ricercatori cedono al pessimismo: Trump ha dimostrato una pericolosa inclinazione per qualunque teoria pseudoscientifica o complottista, come la falsa associazione tra vaccini e autismo. «Sarà il primo presidente anti-scienza che abbiamo mai avuto. Le conseguenze saranno molto gravi», prevede Michael Lubell, direttore degli affari pubblici dell’American Physical Society in un’intervista a Nature.

Altri sperano che la scienza rimanga nel cono d’ombra, salvando almeno lo status quo. «Trump è una specie di scatola nera su questo tema», ha dichiarato a The Verge Jennifer Zeitzer, direttrice delle relazioni legislative per la Federazione delle società americane di biologia sperimentale. «La buona notizia è che non sappiamo cosa significhi per il finanziamento pubblico e la cattiva è che non sappiamo cosa significhi per il finanziamento pubblico».

La fetta maggiore del finanziamento, circa 32 miliardi, tocca ai National Institutes of Health (Nih), dove ora molti si chiedono se verrà confermato il previsto aumento di 2 miliardi da approvare entro Natale, prima dell’insediamento ufficiale della nuova amministrazione. Finora Trump ha ignorato la questione, limitandosi a qualche battutaccia (come nei confronti di molti altri «esperti»). Al Nih ci contano per recuperare parzialmente un taglio dei fondi del 22% nell’ultimo decennio, al netto dell’inflazione.

Un falco da laboratorio

Se davvero l’ex-presidente neocon della Camera Newt Gingrich avrà un ruolo preminente nella squadra di Trump, come molti analisti prevedono, al Nih potrebbero tirare un sospiro di sollievo. In passato, Gingrich ha proposto addirittura di raddoppiare il finanziamento all’istituto. «Come conservatore, sono spesso scettico nei confronti degli investimenti del governo. Ma quando si tratta di scoperte che possono curare le malattie che pesano maggiormente sulla sanità, il ruolo del governo è insostituibile», scriveva sul New York Times a aprile 2015.

Cosa succederà ai programmi di ricerca biomedica strategici dell’era Obama? Alcuni finanziamenti sono già stanziati, come nel caso del «Brain Project» sul funzionamento del cervello (110 milioni di dollari) e della Precision Medicine Initiative, che intende sviluppare terapie e diagnosi cliniche sulla base del profilo individuale dei pazienti (215 milioni).

Più incerto il destino del cosiddetto «Cancer Moonshot», che sin dal nome evoca l’impresa lunare degli anni ’60. L’obiettivo è trovare una cura per il cancro grazie a un investimento federale specifico. Obama ne ha affidato la realizzazione al popolarissimo vicepresidente Joe Biden. Il Congresso dovrebbe sbloccare un finanziamento a favore del Moonshot di oltre 700 milioni per il 2017. Diversi scienziati ritengono il progetto velleitario e insufficiente e Trump potrebbe utilizzarne le critiche per disimpegnarsi da un investimento notevole e targato «democrats». Oppure sostenerlo come gesto di apertura nei confronti dei ricercatori ostili. Sarà probabilmente decisivo il ruolo del direttore del progetto Greg Simon, che ha ottime relazioni nel mondo imprenditoriale (era il vice-presidente della società farmaceutica Pfizer).

Global-Warming

Un clima mutato

In altri settori, sono proprio le relazioni con gli imprenditori a preoccupare gli scienziati. I più spaventati dall’era Trump sono ovviamente quelli che si occupano di mutamenti climatici.

Nei posti decisivi per la politica ambientale, la transizione verso il post-Obama sarà gestita da personaggi in chiara opposizione con le allarmanti previsioni dei climatologi sul riscaldamento globale. Per preparare il terreno all’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (Epa), Trump ha inviato Myron Ebell, uno dei più influenti personaggi del sottobosco delle lobby. A capo del Conservative Enterprise Institute, un think tank di destra finanziato da società come ExxonMobil, Dow Chemical o Eli Lilly, ha minimizzato l’emergenza ambientale già durante l’amministrazione di George W. Bush.

Secondo Ebell, il riscaldamento climatico è normale, limitato, non dannoso e scientificamente non accertato. Al Dipartimento dell’energia, il cambio della guardia verrà gestito da un altro uomo di fiducia delle imprese inquinanti, l’ex-lobbysta Mike McKenna che fino a ieri difendeva gli interessi di Dow Chemical, GDF Suez, Koch Industries e Southern Company. Negli anni ’90, McKenna aveva lavorato al Dipartimento per la Qualità Ambientale della Virginia, dove era stato coinvolto in uno scandalo che riguardava la manipolazione dei dati sull’inquinamento delle industrie.

La contrapposizione con le evidenze scientifiche è stata una costante della campagna elettorale. Agli elettori della Rust Belt, la regione degli Usa messa in crisi dalla de-industrializzazione, «The Donald» ha promesso di resuscitare l’industria mineraria del carbone, messa in crisi dalle norme ambientali. «Non succederà», ha spiegato a The Verge Steven Cohen, il direttore dell’Istituto per la Terra della Columbia University, «per ragioni che non hanno nulla a che fare col clima: il gas naturale oggi è molto più economico».

Secondo Trump, il riscaldamento globale è una «bufala» inventata dai cinesi per ostacolare l’industra americana. Di conseguenza, è intenzionato a revocare la ratifica dell’accordo di Parigi del 2015, che impegna gli stati a frenare entro i 2 °C l’aumento della temperatura dell’atmosfera. La sua elezione ha coinciso con i lavori della COP22 di Marrakech, dove i governi dovrebbero firmare impegni stringenti per realizzare l’obiettivo concordato a Parigi.

Senza l’impegno statunitense, anche gli sforzi degli altri Paesi (che già risultano insufficienti) saranno inutili. Abrogare la ratifica sarà un processo lungo e complicato, ma Trump potrebbe nel frattempo cancellare gli impegni in campo ambientale ereditati da Obama, come il Clean Power Plan, il piano per diminuire le emissioni statunitensi di gas serra. Per i ricercatori sarà un ritorno al passato, quando gli scettici erano in maggioranza. «Gli studenti dei miei corsi si stanno laureando in ecologia in un ambiente incredibilmente ostile all’ecologia», ha detto al Washington Post Joshua Drew, docente alla Columbia University. «Dovranno lavorare il doppio per essere inattaccabili e poter comunicare i loro dati».

Rimpatrio di cervelli

Gli studenti stranieri di Drew rischiano anche di peggio. Se non saranno a posto con i documenti, potrebbero essere rimpatriati quando Trump lancerà davvero la sua crociata anti-immigrati. Le stesse autorità accademiche sono in allarme: gli stranieri costituiscono una fetta sempre maggiore tra studenti e dottorandi.

Nelle facoltà scientifiche, i dottorandi stranieri crescono al ritmo del 14% e l’autarchia non basterebbe a sostituirli. Le associazioni studentesche stanno chiedendo agli atenei di non comunicare alle autorità informazioni che possano metterli nei guai. L’università della California ha già annunciato che non fornirà gli elenchi degli studenti senza documenti.

Per gli scienziati, l’era Trump appare come un deserto da attraversare, limitando i danni. Resta da capire se a determinare le sue scelte in campo scientifico sarà l’adesione di Trump alle teorie complottiste e pseudoscientifiche, o i lobbysti di cui si è circondato.

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