Visioni

La Sardegna elettronica e arcaica di Daniela Pes

La Sardegna elettronica e arcaica di Daniela PesDaniela Pes – foto di Piera Masala

Intervista La cantautrice, premiata con la targa Tenco per il migliore esordio dell'anno, racconta il suo album «Spira». Questo fine settimana le ultime date del tour a Firenze e Modena

Pubblicato circa un anno faEdizione del 22 settembre 2023

Le ci sono voluti tre anni. Un lungo periodo di isolamento, di focus assoluto sulla musica, quasi senza ascoltare altro. Una gestazione lenta, in cui l’unica cosa che contava era arrivare a canzoni che fossero perfettamente compiute. Sembra aver dato i suoi frutti, l’intenso sforzo di Daniela Pes, nell’ideazione del suo primo album, Spira. Un lavoro dallo stile personalissimo, che mette insieme elettronica, folk, l’anima arcaica della Sardegna e una lingua nuova, inventata, puro suono al servizio di brani che hanno colpito anche i giurati del Club Tenco, che le hanno assegnato il premio per la migliore Opera Prima.

L’IDEAZIONE di Spira inizia nel mezzo di un percorso già avviato, dopo gli studi jazz (quando incontra Paolo Fresu) e la scrittura delle prime canzoni. «Ho sentito l’esigenza di fermarmi, per capire che strada prendere» ricorda Daniela Pes. «Avevo tantissime idee tra le mani, però avevo grande difficoltà a mettere ordine. Quindi mi sono armata di coraggio e ho contattato l’artista per me più stupefacente della scena italiana, quello che più stimo per il coraggio delle proprie idee». È così che comincia un lungo scambio via mail con Jacopo Incani, sardo come lei, meglio conosciuto per il suo progetto Iosonouncane, che diventerà produttore del disco (che sarà pubblicato da Tanca, la sublabel di Trovarobato di cui è direttore artistico).
Fino a quel momento, Daniela Pes aveva cantato su testi in gallurese antico, interpretando in musica le poesie di don Gavino Pes, prete vissuto nel 1700, che oltre ad avere il suo stesso cognome è un compaesano, e che nei suoi scritti racconta le vicende e i paesaggi di Tempio Pausania.

«A un certo punto – riflette la cantante – mi sono sentita limitata: non riuscivo a tenere intatte le mie idee musicali originali perché dovevo continuamente modificarle a seconda della metrica da rispettare. Ho pensato: che succede se cambio la metrica come voglio io? Voglio farmi guidare dal puro suono, visto che questa è sempre stata la mia urgenza». È in questo modo che prende forma la lingua unica e personalissima di Daniela Pes, che prende ispirazione e combina gallurese antico, italiano, fonemi inventati, in un movimento uguale e contrario rispetto al lavoro che nello stesso periodo stava portando avanti, senza svelarlo, proprio Iosonouncane, che in Ira creava un’ermetica fusione di lingue diverse, italiano, arabo, inglese, tedesco, spagnolo.

MA SE I TESTI di Iosonouncane, così densi di parole e significato, vogliono esprimere l’idioma di una moltitudine in cammino, la lingua dell’immigrazione collettiva, per Daniela Pes il significato delle parole, almeno in senso letterale, conta meno. «Il disco è la traduzione in musica di un mio stato emotivo, di una mia esigenza di comunicazione. Non avrebbe senso però spiegarlo. Ho usato la voce come uno strumento, e nella testa di ognuno si crea una fotografia propria, personale e soggettiva. C’è un significato, riporta a una storia. Esiste un piano del contenuto, ma è totalmente soggettivo».
La grande esperienza da musicista dal vivo si sta esprimendo nelle numerose date del tour che, concerto dopo concerto, conquistano nuovi fan e appassionati. «Ai concerti stanno venendo tantissime persone, e mi accorgo che in tanti vengono perché conoscono bene il disco e perché vogliono sentirlo live. In questi tre anni a volte mi chiedevo: ma cosa sto facendo? Vedere questa risposta così amorevole, così vera, mi fa sentire di avere un senso, è una soddisfazione immensa». Ieri Daniela Pes si è esibita a Romaeuropa, sempre in duo accompagnata dal musicista Maru; oggi a Firenze a Fabbrica Europa e domenica a Modena al Dig Festival le ultime date del tour, con un set elettronico che lascia spazio all’improvvisazione.

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