Il profumo che si sente nel cortile di Scienze politiche dell’università La Sapienza di Roma forse non arriva in parlamento, ma gli esponenti del governo che hanno naso possono iniziare a preoccuparsi. Gli studenti che martedì scorso volevano contestare il convegno con Fabio Roscani, presidente di Gioventù nazionale e neodeputato di FdI, e Daniele Capezzone sono stati caricati in 50. Nel corteo successivo erano 400. Ieri si sono ritrovati in centinaia per l’assemblea pubblica «Vostro il governo, nostra la rabbia». E hanno occupato la facoltà. È da questi corridoi, insieme a quelli della vicina Lettere, che sono partiti tutti gli ultimi movimenti studenteschi: 2005, 2008 e 2010. Al governo c’era sempre la destra, con diversi degli attuali ministri.

Nel cortile è difficile trovare posto e l’impianto di amplificazione stenta ad arrivare alle ultime file. Tra la folla sventola un tricolore: quello che al centro reca la stella e la sigla dell’Anpi. Sopra l’ingresso principale dell’edificio due striscioni. Il primo, bianco, dice: «Mai più violenza sugli studenti, riprendiamoci i nostri spazi». Il secondo, rosso: «Un’altra università. Per questo, per altro, per tutto». È il più importante. Sabato scorso ha sfilato in corteo a Bologna nella manifestazione organizzata da Gkn e Fridays for future, di cui riporta lo slogan. È indice della convergenza che si sta già sperimentando nelle mobilitazioni che hanno accompagnato l’inizio della legislatura.

«Abbiamo due richieste: dimissioni della rettrice Antonella Polimeni, mai più polizia nell’università», dicono gli studenti. Poche ore prima Polimeni ha diffuso una lettera in cui afferma che «l’Università deve essere un luogo in cui si studia, si cresce, in cui bisogna incontrarsi e confrontarsi ma mai scontrarsi fisicamente». Nessuna parola per gli studenti che hanno ricevuto le manganellate, di cui scarica la responsabilità sulla questura di Roma.

«L’ingresso della celere è stato autorizzato dalla rettrice. Le sue dichiarazioni sono gravissime», risponde poche ore dopo il Collettivo di scienze politiche che ha organizzato l’assemblea insieme a quello di fisica e alle associazioni studentesche Nemesi, Fuori Luogo, Link, Cambiare rotta, Scire. Di altro tenore il comunicato del dipartimento di scienze politiche che, auspicando sempre il dialogo, «condanna l’uso della forza per la risoluzione di conflittualità che vedano coinvolti gli studenti».

Oltre l’episodio particolare, comunque, è il testo letto in apertura dell’assemblea a darne il senso. La voce è di due studentesse, Zeudi e Aurora, ma le parole sono state scritte insieme da tante ragazze e ragazzi. «Non siamo qui a fare la parte delle vittime, dei poveri studenti picchiati. Siamo qui per costruire un’altra università», dicono. È una lettura lunga e densa, interrotta da applausi e cori. Potrebbe essere il manifesto di una generazione. Critica l’idea di un «capitalismo buono», al centro del convegno contestato, spiegando che è questo sistema ad aver prodotto la crisi climatica e a sfruttare milioni di persone.

Rifiuta l’idea del merito raccontando le difficoltà di chi finisce fuori corso perché per studiare deve lavorare e le sofferenze psicologiche di chi è costretto a competere nella corsa ad accumulare esami. Gli aggettivi sono declinati al femminile o al neutro. «Le studenti», non è un errore, puntano il dito contro il governo Meloni, ma anche contro gli esecutivi precedenti: Draghi, Conte, centro-sinistra, centro-destra. Denunciano anni di tagli all’istruzione, alla sanità, al welfare. Chiedono l’istituzione di un salario minimo e di un reddito di cittadinanza veramente universale invocando l’articolo 3 della Costituzione per «un’uguaglianza che deve essere formale e sostanziale». Promettono battaglia alla destra che vuole cambiare la Carta.

L’atmosfera si scalda. Parte un coro: «Occupiamo, occupiamo». Ci vuole poco: le porte si aprono, i corridoi sono invasi, l’aula magna si riempie.