Economia

La sanità dopo due anni di Covid: visite in ritardo fino a 24 mesi

La sanità dopo due anni di Covid: visite in ritardo fino a 24 mesiPronto soccorso del Policlinico Casilino, Roma – Andrea Sabbadini

Il dramma Cittadinanzattiva: uno su 10 rinuncia alle cure per le liste d’attesa e la crisi economica. La pandemia ha dato il colpo di grazia alla salute mentale. Nel «Pnrr» c’è poca attenzione

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 6 maggio 2022

Per fare una mammografia in un ospedale pubblico oggi in Italia è necessario attendere due anni. Chi ha bisogno di una tac, o di un intervento ortopedico, «solo» un anno. Per una risonanza magnetica bisogna aspettare in media anche 180 giorni. Va meglio, ma si fa per dire, per una colonscopia: 100 giorni. Chi ha bisogno di un intervento oncologico spera di farlo in sei mesi. Disagi di ogni tipo aspettano chi attende fino a un anno per fare una visita diabetologica e poco meno per una dermatologica, endocrinologica o reumatologica. Per la medicina preventiva non va meglio: quelli oncologici prevedono un ritardo nel 57% delle regioni mentre le coperture per i vaccini ordinari sono in calo.

QUESTO È IL MONDO raccontato nel «Rapporto civico sulla salute. I diritti dei cittadini e il federalismo in sanità» presentati ieri da Cittadinanzattiva è frutto dell’analisi di 13.748 segnalazioni giunto l servizio Pit Salute e alle 330 sezioni territoriali del Tribunale per i diritti del malato. L’insieme di questi fatti ha costretto più di un cittadino su dieci a rinunciare alle cure nel corso del 2021 a causa di problemi economici o per la difficoltà di accesso al servizio, e non solo perché le strutture ospedaliere sono state costrette dall’emergenza a concentrarsi sulle cure ai malati di Covid. L’emergenza nella sanità pubblica non è stata superata dopo la fase più visibile della pandemia e continua ancora oggi. Dicevano che saremmo usciti migliori dal Covid. Non è stato così.

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«ABBIAMO la necessità di recuperare milioni di prestazioni, i cittadini devono essere messi nella condizione di tornare a curarsi» ha sostenuto Annalisa Mandorini, segretaria di cittadinanzattiva. Secondo le analisi della Corte dei Conti e di Agenas Sant’Anna di Pisa c’è stata una riduzione complessiva tra il 2019 e il 2020 di oltre 144,5 milioni di prestazioni. I ricoveri nelle strutture pubbliche o private si sono ridotti di circa 1 milione e 775 mila prestazioni in particolare in Calabria (-30,6%), Puglia (28,1%), Basilicata (-27,1%), Campania (-25%). Un’attenzione particolare è prestata dal rapporto alla salute mentale, probabilmente uno degli aspetti della vita umana e sociale più trascurati nel corso della pandemia, e non solo per gli studenti. Dall’analisi risulta che la salute mentale ha ricevuto poca attenzione dal «Pnrr». Si è così prodotto un paradosso: proprio nel momento in cui i disturbi sono aumentati i servizi sanitari dedicati sono diminuiti. La situazione è diventata insostenibile per le famiglie e per la qualità dell’assistenza, oltre che per i noti problemi di accesso alle strutture. Quindici regioni presentano valori inferiori alla media nazionale. A livello nazionale ci sono 3,3 psicologi ogni 100 mila abitanti.

IL RAPPORTO di 357 pagine affronta anche la distribuzione territoriale delle «Case di comunità» finanziate dal «piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr). Si va da una Casa ogni 12 mila malati cronici in Calabria ad una ogni oltre 23 mila malati cronici in Emilia Romagna, Liguria e Valle d’Aosta. La distribuzione «premia indiscutibilmente le regioni del Sud» perché è un «fattore essenziale contro lo spopolamento e per la qualità della vita» sostiene Cittadinanzattiva. Questo «fa ben sperare sulla possibilità, per i cittadini del Sud, di vedere almeno in parte ridotto il divario con il resto del paese». Tuttavia, si sostiene nel rapporto, «non è stata avviata nessuna consultazione pubblica dal governo centrale, mentre tutte le regioni hanno deciso dove collocare queste case della comunità senza che nessuna di esse abbia messo in campo percorsi di dibattito pubblico con le comunità, a volte collocandole accanto alle strutture ospedaliere, mentre la logica da cui nascono è quella di compensare la visione centrata sugli ospedali con una visione diffusa sul territorio». In un videomessaggio ieri il ministro della salute Roberto Speranza ha sostenuto che, con il «Pnrr» che ha stanziato «20 miliardi» «abbiamo la possibilità di cambiare il volto dell’assistenza domiciliare, sul personale e la ricerca». Il percorso si annuncia lungo e non scontato.

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