In questi giorni 91 direttori di DSM hanno scritto al Presidente Mattarella, alla premier Meloni e al Ministro della Salute Mentale una lettera accorata in cui testimoniano fatti gravi: «Abbiamo deciso di scrivervi questa sofferta Lettera Appello perché riteniamo sia diventato un nostro dovere etico a fronte dell’aumento del disagio mentale nel nostro Paese, in particolare degli adolescenti, senza più possibilità di adeguate risposte da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM).
Le condizioni drammatiche nelle quali stiamo scivolando consentono ai DSM di erogare ormai con estrema difficoltà le prestazioni che, invece, dovrebbero essere garantite dai Livelli Essenziali di Assistenza. Una situazione che si è aggravata con la pandemia e con le problematiche sociali ed economiche».

La lettera è anche una domanda di sostegno concreto per rilanciare il sistema pubblico della salute mentale: «C’è bisogno di iniziative concrete ed immediate per ricucire la rete pubblica dei DSM, sempre più sfilacciata, anche con un rilancio al loro interno dei percorsi psicologico- psicoterapeutici, per realizzare una salute mentale comunitaria, in grado di dare risposte integrate ai diversi aspetti biologici, psicologici e sociali.

Chiediamo, rivolgendoci alla Vostra sensibilità, di avviare un percorso concreto vincolando risorse definite per i servizi pubblici dei DSM, consentendo alle Regioni di attuare fin dal 2023 un piano straordinario di assunzioni, secondo gli standard per l’assistenza territoriale dei servizi di salute mentale definiti proprio pochi giorni fa dall’Age.na.s.

Si tratta di destinare, al massimo in un triennio, oltre 2 miliardi al fine di raggiungere l’obbiettivo minimo del 5% del fondo sanitario per la salute mentale, come da impegno dei Presidenti delle Regioni nel 2001, richiamato anche dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2022».

La lettera fa sua la proposta del Manifesto della salute mentale per la tripartizione collaborante del lavoro all’interno delle equipe territoriali: intervento farmacologico, psicologico-psicoterapeutico, lavoro con la comunità. La tripartizione era stata accantonata da anni a favore del modello biomedico, che ha depauperato risorse economiche e mentali senza ottenere nessuno dei risultati prefissi. Ha reso impersonali le relazioni tra gli operatoti e tra gli operatori e i pazienti e i loro familiari, demotivando tutti. Dai servizi c’è un esodo di operatori che difficilmente sarà fermato, date le condizioni scoraggianti in cui si trovano a operare.

La situazione paradossale dei DSM è il fatto che essi sono diretti da persone molto motivate e preparate che tuttavia devono gestire la mancanza di fondi necessari per la psicoterapia, la ricerca epidemiologica, la ricerca clinica (e quella di verifica rigorosa dei risultati ottenuti), la ricerca delle aree sociali e familiari di fragilità per impostare una buona politica di prevenzione, unita al lavoro di cura di bambini e adolescenti. Soprattutto servono risorse economiche e umane per avviare una ricerca epigenetica vera e propria, quindi con la partecipazione, oltre degli esperti di genetica, di esperti della psiche e dei fenomeni sociali, visto che le complesse cause del malessere grave sono il prodotto della correlazione tra questi livelli.

Un’altra parte di risorse serve per la collaborazione con forme di interventi artistici e letterati che consentono modalità espressive creative da parte dei soggetti sofferenti, ma aiutano anche la comunità a elaborare e accogliere il dolore che essa ospita senza proiettarlo sulle persone più vulnerabili e renderlo così impersonale e irrisolvibile. Serve anche una maggior collaborazione con l’Università producente oggi operatori formati solo sul piano biomedico che ingolfano il funzionamento dei servizi. E’ necessario che la formazione si svolga in una sua parte importante dentro i DSM e non in modo avulso da essi,