La rivolta in coro dei minatori
Storie Dalle viscere di Montevecchio, in Sardegna, le memorie della lunga occupazione che nel 1961 spezzò «Su Pattu Aziendali» riaffiorano nelle voci - in tutti i sensi - dei protagonisti
Storie Dalle viscere di Montevecchio, in Sardegna, le memorie della lunga occupazione che nel 1961 spezzò «Su Pattu Aziendali» riaffiorano nelle voci - in tutti i sensi - dei protagonisti
«Il postino ci aveva portato una canzone composta in dialetto appositamente per noi dai fratelli Masili, che erano poeti, dal titolo Su Pattu Aziendali. Io mi arrangiavo a canticchiare il sardo e quindi mi arrivò questo foglio tra le mani… Lo lessi due o tre volte, imparandolo a memoria. Con me c’era anche un operaio anziano, Luigi Concas originario di Fluminimaggiore, che aveva sempre in tasca un’armonichetta… Facemmo un attimo di silenzio e iniziai.. Cantavo, cantavo e gli altri minatori a fare il coro con me, mentre Concas suonava. Fortuna che assieme a noi vi era uno studente, un tipo veramente in gamba. Aveva con sé un registratore. Incise tutto».
IL «POSTINO» era il soprannome che veniva dato a chi giornalmente tra la fine del marzo e i primi giorni dell’aprile del 1961, si preoccupava di portare lettere, farmaci, giornali, cibo e qualsiasi altra cosa occorresse alle decine di minatori in occupazione a trecento metri di profondità, nel Pozzo Telle della miniera di Montevecchio, presso il comune di Guspini, area sud ovest della Sardegna. Su Pattu Aziendali, «Il Patto Aziendale», è molto di più di una semplice canzone di protesta. È un’icona significativa di un periodo storico che si chiudeva e di un altro che sorgeva, coinvolgendo memorie e speranze soggettive e oggettive di un’intera comunità. Che trovava proprio in quelle giornate un senso di appartenenza e solidarietà di rara forza. Non solo: Su Pattu Aziendali fa parte di una serie di registrazioni effettuate durante quei giorni di lotta che ad oggi risultano essere le uniche incisioni esistenti dell’intero movimento operaio delle miniere sarde del secolo scorso. Una raccolta che comprende canzoni, comizi, interventi sindacali e testimonianze sonore di vario genere.
STORIE DAL SOTTOSUOLO, che hanno una genesi e una capacità narrativa prorompente. Ai canti di militanza si avvicendano anche brani popolari dell’epoca dal tono decisamente disimpegnato, come 24mila baci (pubblicata pochi mesi prima, nel gennaio 1961, da Little Tony) e Pissi Pissi Bau Bau (I segreti li tengono gli Angeli) edita nel luglio 1960 a firma di Gianni Meccia. Testimonianze preziose anche queste, che raccontano di come nelle viscere della terra si cercasse di trascorrere il tempo durante le lunghe giornate di occupazione.
A RACCONTARCI cosa accadeva è Serafino Leo, nato ad Arbus nel 1935 e cresciuto nelle vicinanze delle miniera, dove ha lavorato per decenni. La sua voce è la principale in quasi tutte le registrazioni e di quei momenti conserva una memoria pressoché perfetta. D’altronde non potrebbe essere altrimenti, considerato che Leo è personaggio energico e vulcanico: ha effettuato l’ultimo lancio in paracadute, sua vecchia passione, nell’estate del 2016 e in precedenza ha trovato il tempo per scrivere La mia vita in miniera a Montevecchio, libro di cui esistono due versioni, una in sardo e una in italiano.
«REGISTRAMMO le buettasa (canzoni, ndr) fino all’ultima giornata di occupazione – ricorda Leo -, era la Pasqua del 2 aprile… e quando lo studente ce le faceva riascoltare immediatamente dopo, quanta contentezza nel risentire quello che avevamo cantato!».
Dal punto di vista musicale il corpus delle registrazioni è una miscela di melodie popolari, improvvisazioni vocali e canti politici di protesta (tra cui spicca anche una versione di Bandiera Rossa eseguita dal coro degli operai e da un organetto), sulle quali sono stati scritti testi ad hoc, come nel caso di Su Pattu Aziendali.
IL PATTO CHE GLI OPERAI riuscirono a rompere, vincendo quindi quella dura lotta, era un’iniqua e repressiva contrattazione aziendale imposta dalla direzione generale nel lontano 1949. I lavoratori erano costretti a turnazioni massacranti a cottimo ed erano completamente in balìa della dirigenza, la quale esercitava un potere totale sulle maestranze, punendo e licenziando a suo piacimento. L’acerrimo nemico era il direttore Filippo Minghetti, padre padrone delle miniere di Montevecchio, che dirigeva già negli anni del fascismo e che si ritirò a seguito degli eventi narrati. Sempre Leo, nel 1982 e poi negli anni novanta, registrò altre versioni delle struggle songs in questione. E sempre nel 1982, assieme agli operai di quel periodo, in occasione di un altro importante sciopero, scrisse Cassa Integrazioni A Montebecciu («Cassa integrazione a Montevecchio»), usando nuovamente il vettore musicale come architrave della protesta sindacale.
ASSIEME A MOLTI EX COLLEGHI Leo fa parte dell’associazione culturale dei minatori di Montevecchio e Ingurtosu «Sa Mena», dedita alla diffusione della memoria storica del lavoro minerario. «Sa Mena» è un crogiuolo di esperienze dove la capacità di raccogliere, raccontare e valorizzare il passato è imprescindibile. A Iride Peis, insegnante in pensione e scrittrice al tempo stesso, va per esempio il merito di aver fatto riemergere il ruolo della donna nel mondo minerario. Grazie a un lungo lavoro di ricerca che ha riscoperto le storie delle «cernitrici», operaie del soprassuolo che per decenni hanno contribuito in modo determinante all’industria estrattiva.
«SONO PARTITA DAI RACCONTI di mio nonno su queste donne – racconta Peis – che ogni giorno partivano da Guspini alle 4,30 del mattino per andare a lavorare a Montevecchio. Il loro compito era quello di separare il minerale sterile da quello utile. Non lavoravano in galleria, ma nei piazzali, esposte al sole, al vento, alla pioggia. Ogni giorno, ogni stagione, anche per 12 durissime ore in cui arrivavano a bocca di pozzo, caricando il minerale da separare e spesso sbriciolandolo a colpi di martello. Talvolta gli uomini di miniera, sopratutto caporali e dirigenti, adocchiavano queste giovani donne e ne abusavano».
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