Sembra scritto oggi Marcia su Roma e dintorni, terminato poche ore fa, eppure ha già la veneranda età di ottantotto anni. Quando Emilio Lussu si mise a scriverlo, ne aveva appena quarantuno, ed era nato alla fine dell’Ottocento. Il libro uscì in francese e in inglese, e solo due anni dopo in italiano. Era il 1931 e il fascismo aveva vinto: il potere di Mussolini in Italia non sembrava scalfibile. Di lì a poco Adolf Hitler, suo ammiratore, sarebbe salito a sua volta al potere (…).

LA SUA MODERNITÀ è prima di tutto linguistica e narrativa. Scritto in modo icastico, rapido, ma mai sommario, possiede una lingua scattante e attualissima. Qualcuno ha detto perché scritto da un sardo, diretto e laconico. Chissà come apparve allora a chi lo ebbe tra le mani? Non molti, credo. Lussu non era uno scrittore di professione, alla stregua di Primo Levi, più giovane di lui di quasi una generazione. Erano entrambi frutti del Liceo Classico; Lussu poi aveva una laurea in Giurisprudenza. I loro primi libri, dal punto di vista del lessico e dello stile, appaiono del resto assai diversi: più immediato, quasi cronachistico Lussu, più classicheggiante e riflessivo Levi. In una cosa però si somigliano: parlano del loro presente in un modo diretto, senza infingimenti o giri di frase. Hanno una medesima secchezza, o risolutezza (…).

Il tema più interessante del libro è proprio quello del passaggio dalle file antifasciste e democratiche a quelle del movimento di Mussolini. Sin dai primi capitoli Lussu ci presenta uomini che diventano di colpo fascisti. Ha un modo ironico di descrivere queste figure. Prima presenta i colleghi e amici antifascisti, poi dichiara secco: diventò fascista. Sono i «voltagabbana», coloro che hanno mutato casacca. È un’intera processione di personaggi simili, che culmina con il collega di Lussu, l’onorevole Pietro Lissia, diventato membro del primo governo Mussolini, e con l’onorevole Rossini, gran antifascista, sottosegretario alle pensioni di guerra, diventato anche lui fascista (…).

Lussu non si sofferma sulla divisione delle forze di sinistra, sulla indecisione dei socialisti, sulle azioni dei comunisti, e neppure dei cattolici del Partito popolare. Le racconta di scorcio, perché la cosa che lo colpisce di più è il passaggio di persone insospettabili dalle file democratiche a quelle di Mussolini. Nomina con nome e cognome tutti questi personaggi, che nella storia maggiore, quella che ricorda i nomi dei grandi protagonisti, sono scomparsi, e che tuttavia costituiscono altrettante caselle decisive della trasformazione del paese nella transizione dalla democrazia parlamentare alla dittatura fascista (…).

Cosa ci insegna questo libro così scabro e diretto, scevro di qualsiasi moralismo e del senno del poi? Che al Fascismo la classe dirigente e le élite del periodo non resistettero, cedettero con facilità, sperse davanti a una realtà che non sapevano capire e cui aderirono senza colpo ferire. Che il voltagabbana è una forma umana molto diffusa in ogni epoca e che si perpetua nonostante tutto. Che in Italia il trasformismo è un costume politico da almeno 120 anni. Che bastava un atto di resistenza politica, non tanto e non solo militante, che pure ci fu, per abbattere il mostro Mussolini, in particolare dopo l’uccisione di Matteotti. Che Mussolini riuscì con il suo trasformismo e assoluto cinismo a imporsi in un sistema politico incerto e instabile. La sua durezza, la sua spregiudicatezza, la voce grossa fatta valere in alcuni momenti decisivi, fece vacillare e cadere gli avversari. Il terrore è il sistema istituito dal Fascismo per dominare gli avversari, per spargere paura e indifferenza.

LUSSU APPARE come un uomo d’azione, ma anche come un uomo riflessivo, che ragiona, che sa sorprendersi, che non si perde d’animo. Un uomo tutto di un pezzo com’era stato nelle trincee della guerra. Non sembra aver paura, non gli appartiene il timore, come racconta in un paio di episodi, che costituiscono i passaggi narrativi più coinvolgenti del libro. Ed è anche un uomo saggio. A dimostrarlo bastano le battute finali del libro, dove racconta la sua fuga dal confino di Lipari, dove è stato relegato dal Fascismo, in motoscafo verso Tunisi: «Il mondo va a destra!» dice uno di quelli a bordo. «Il mondo non va né a destra né a sinistra. Il mondo continua a girare intorno a se stesso, con regolari eclissi di luna e di sole» risponde.

Un messaggio ottimistico? Sì e no. Un messaggio di saggezza verso le vicende umane di cui lui stesso è protagonista. Ci sono cose che vanno oltre noi stessi, su cui, come le eclissi, abbiamo ben poca influenza, e tuttavia tutto il suo libro racconta la resistenza attiva a un movimento politico che era resistibile e poteva anche non vincere, risparmiandoci lutti e disgrazie collettive da cui abbiamo faticato a sollevarci e da cui non ci siamo ancora distanziati una volta per tutte, come mostra il risorgente fascismo del lungo dopoguerra. Bisogna fare tutto il possibile sempre. Oggi più che mai.