La folla non è sterminata ma c’è. È stata convocata in fretta davanti al senato, mentre dentro «si consuma l’ennesimo sconcio alla Costituzione» dal Coordinamento per la democrazia costituzionale, nato dalle ceneri dei Comitati per il No al referendum del 4 dicembre e da Sinistra italiana. Sfilano i deputati e i militanti con le bandiere (a quelle rosse di famiglia vanno aggiunte quelle della ’Fgci’ e del ’Pci’, nomi impegnativi scelti dall’ex Pdci; e quelle del Partito del Sud). I senatori fanno passaggi più veloci, devono tornare in aula. Hanno aderito Mdp, presente in forze il gruppo quarantenni (Laforgia, Gotor, Stumpo, D’Attorre, Fornaro, Scotto) e i ’civici’ del Brancaccio (c’è l’avvocata Anna Falcone). A sorpresa nel finale arriva il grillino Vito Crimi, inconsueto gesto di considerazione per un 5 stelle (oggi il loro presidio) molto apprezzato dai presenti.

I convenuti non sono moltissimi ma si assegnano un compito titanico: le prossime elezioni «saranno un nuovo 4 dicembre», promettono. Dal palco Alfiero Grandi lancia la «festa della Costituzione» dal 4 al 22 dicembre. Nel calendario dei patrioti della Carta sono due date cerchiate di rosso: l’anniversario della vittoria del referendum sulla riforma Renzi-Boschi e l’anniversario dell’approvazione della Carta (nel 1947). Sarà l’abbrivio della campagna elettorale delle sinistre. «Questa mobilitazione deve proseguire e prendere una forma politica», applaude Civati dal palco, dove si presenta in coppia con Nicola Fratoianni (Si).

Ma è ancora qui che casca l’asino. Quella di ieri è la seconda manifestazione unitaria delle diverse sigle di sinistra contro il Rosatellum (la prima è stata l’11 ottobre). Sinistra Italiana, Possibile, Brancaccio, Mdp, Cdc. Ma la carovana della lista unitaria è ancora ferma ai box. Nel frattempo Giuliano Pisapia è uscito dai radar in attesa – spiegano i suoi – di valutare gli effetti sul Pd del voto siciliano. Ma anche le altre sigle aspettano: macinano dibattiti su dibattiti, professano unità, si giurano fedeltà. Ma alla fine tutto resta al palo.

L’ultimo inciampo è stata l’apparente offerta di dialogo di Roberto Speranza (Mdp) a Renzi, peraltro subito rifiutata. Fratoianni l’ha presa male: «Ora basta, siamo stanchi di aspettare le titubanze degli ex Pd. Noi partiamo».

Segnale di questa insofferenza è l’impennare della polemica sul presidente del senato Pietro Grasso ’reo’, come la collega Laura Boldrini alla camera, di aver accettato la fiducia chiesta dal governo. In aula Loredana De Petris (Si) ne occupa lo scranno. «Sono con lei», dice Fratoianni, «Grasso ci ha deluso, da lui ci aspettavamo almeno un sussulto». Sul presidente del senato cala il gelo dei civici. E le sferzanti parole del segretario di Rifondazione comunista Maurizio Acerbo: «Dopo la vergogna della camera che ha visto la presidente Boldrini accettare l’imposizione del governo e del Pd del voto di fiducia in spregio della Costituzione, al Senato fa il bis il presidente Grasso. Mi domando se si tratti dello stesso Grasso che D’Alema e Bersani proponevano nei giorni scorsi come leader della sinistra».
In effetti Mdp da mesi corteggia Grasso per averlo in primissima fila fra i suoi big. E ora infatti preferisce alzare i decibel sul governo: «Oggi Gentiloni è passato alla storia per aver battuto un triste primato: essere il primo presidente del Consiglio dall’Unità d’Italia a porre la fiducia sulla legge elettorale sia alla Camera sia al Senato», dichiarano i senatori Maria Cecilia Guerra, Fornaro e Pegorer. Una performance peggiore di Mussolini, insomma, che «nel 1923 pose la fiducia su di un ordine del giorno e su di un emendamento della legge Acerbo», «una invasione di campo del governo in una materia parlamentare che non sarebbe stata concepibile in nessuna grande democrazia europea». Altro che dialogo, le reazioni del Pd sono scatenate.

Intanto nella Corsia Agonale, il vicolo davanti a Palazzo Madama, al microfono sfilano costituzionalisti, giuristi, un ex presidente di Cassazione, politici delle tante sigle di sinistra ancora disunita. Ma la compagnia è variegata. Parla anche Antonio Esposito, il giudice che ha condannato in via definitiva Silvio Berlusconi nel processo Mediaset (ora ha lasciato la toga). Il direttore del Fatto Marco Travaglio evoca la manifestazione dei girotondi, quella del febbraio 2002 in cui Nanni Moretti prese la parola e spalancò una stagione politica: «Con questi dirigenti la sinistra perderà per i prossimi vent’anni». È un augurio. Come lo è quello di Felice Besostri, l’avvocato che ha fatto franare l’Italicum alla consulta: «Non c’è due senza tre», promette, «Se hanno bocciato già due leggi elettorali la Consulta boccerà anche la terza anche se loro correranno contro il tempo per evitare la sentenza».