La protesta dei nativi arriva a Buenos Aires. Sfida ai vertici politici
Malón de la paz Dopo una marcia di 1.500 km partita da Jujuy, i rappresentanti di 400 comunità si accampano nella capitale: «Vogliamo risposte». Tra 15 giorni le primarie dei partiti per scegliere i candidati. Il 22 ottobre le elezioni politiche
Malón de la paz Dopo una marcia di 1.500 km partita da Jujuy, i rappresentanti di 400 comunità si accampano nella capitale: «Vogliamo risposte». Tra 15 giorni le primarie dei partiti per scegliere i candidati. Il 22 ottobre le elezioni politiche
1.500 chilometri, come tra Aosta e Reggio Calabria, è la distanza percorsa dai nativi partiti dalla provincia di Jujuy e arrivati l’altro ieri a Buenos Aires. Obiettivo: portare al centro del paese la loro battaglia contro sfruttamento del litio e criminalizzazione delle proteste. Due elementi al centro dell’azione di Gerardo Morales, governatore della provincia del nord e candidato a vicepresidente con la principale forza di opposizione al governo nazionale di Alberto Fernández.
IL PRIMO AGOSTO – nella cosmovisione andina la giornata della «Pachamama», cioè la Terra – il «Malón» è arrivato nella capitale. Malón è una parola dello spagnolo rioplatense che si riferisce a un attacco a sorpresa di nativi contro un insediamento di coloni. L’espressione «Malón della Pace», titolo della lunga marcia, è una contraddizione linguistica che vuole sottolineare la legittimità di una lotta per il buen vivir contro la repressione statale che queste persone soffrono da sempre e che oggi si ripete. I precedenti malón risalgono al 2006 e addirittura al 1946. Le comunità usano questo metodo di lotta straordinario per uscire dai loro territori, mostrare i soprusi subiti e fare pressione sulle autorità. Martedì mattina i nativi hanno fatto irruzione nel centro di Buenos Aires sfilando tra i clacson sulla centralissima Avenida 9 de Julio. «Non vogliamo conflitti, ma vivere bene, in pace», esclama José, che ha viaggiato da San Salvador de Jujuy con delegazioni dei popoli kolla e atacama.
PASSANDO dalle città di Tucumán, Córdoba e Rosario hanno ricevuto il sostegno locale. Lungo il cammino si sono sommati referenti da tutta l’Argentina. Alla fine nella capitale sfilano fianco a fianco membri di oltre 400 comunità. La protesta arriva a un mese dal tentativo di riforma della costituzione provinciale avanzato da Morales per criminalizzare la protesta sociale e spostare i nativi dalle loro terre promuovendo l’estrazione del litio. Enrique Luzco, della comunità di Atacama, lo racconta in prima persona: «L’Argentina è ricca di risorse ma queste finiscono tutte all’estero perché i governi si accordano con le multinazionali. Per questo siamo qui».
Dulce, 48 anni, del Pueblo Churumata, tira una linea: «Il governo di Morales ci ha sparato addosso e quello è stato il limite. Se dobbiamo morire perché i nostri figli vivano bene pagheremo questo costo».
I CARTELLI che colorano il grigio cemento delle strade sintetizzano alcune rivendicazioni. «La regione naturale della Puna resiste: sì alla vita», «Basta violenza per difendere i nostri diritti», «Abbasso la riforma, in alto i diritti», «Sì all’acqua, no al litio». Le comunità dei nativi denunciano di non essere state coinvolte in nessun modo quando sono stati approvati i progetti estrattivi che riguardano i loro territori.
Progetti aumentati negli ultimi anni per la crescente domanda mondiale del minerale bianco, usato nell’industria delle batterie. Per questo i nativi si sono organizzati nel «Tavolo delle 33 comunità della conca delle Saline grandi e della laguna di Guayatayoc», denunciando la violazione del diritto alla partecipazione e le firme sulle autorizzazioni estorte ad alcuni abitanti.
PER ORA NESSUNA AUTORITÀ nazionale o provinciale ha voluto parlare con la rete di organizzazioni, né con i protagonisti del Malón. «Non hanno avuto un centimetro di empatia per le nostre richieste», si dispiace Sergio Zerpa, del popolo kolla, comunità di Abra Pampa. José, di San Salvador, aggiunge: «Questa protesta è la nostra ultima speranza. Abbiamo bisogno di una soluzione, non vogliamo essere schiavi. Presidente, vicepresidente, corte suprema e parlamento devono fare qualcosa. Guardarci. Ascoltarci. Non è difficile».
Nello specifico, i manifestanti chiedono alla corte suprema di esprimersi sull’incostituzionalità della riforma Morales e al parlamento di intervenire nella provincia di Jujuy e approvare una legge nazionale sulla «proprietà comunitaria indigena». Quando sulla giornata della «Pachamama» cala la sera, il corteo del Malón della pace è diventato un accampamento, davanti all’edificio del tribunale più importante. «Resteremo accampati a oltranza, davanti alla corte o al parlamento, fino a quando otterremo una risposta positiva. Altrimenti non ci muoveremo da Buenos Aires», annuncia Sergio Zerpa.
INTANTO TRA DUE SETTIMANE l’Argentina sceglierà, nelle primarie dei partiti, i candidati alla presidenza per le elezioni politiche del prossimo 22 ottobre. Alcuni forse non se ne accorgono, ma il futuro del paese si sta giocando, più che sui candidati, sui valori messi in agenda dai popoli nativi: acqua, ambiente, diritto alla protesta e al territorio.
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