Un fuorisede universitario su sei è stato costretto a cambiare casa durante l’anno accademico in corso per l’aumento del canone d’affitto, per mancanza di potere d’acquisto dei salari che guadagnano con i lavoretti o di quelli trasferiti dalle famiglie. Lo sostiene un sondaggio pubblicato ieri da Skuola.net che descrive gli effetti di uno dei mantra della «meritocrazia» consolidata sin dalla riforma Gelmini del 2010: le classifiche che celebrano in maniera ossessiva gli atenei migliori in una spettrale competizione. I sempre più diffusi ranking condizionano la mobilità degli studenti, e non solo a livello nazionale, e li spingono a dirigersi verso i corsi di laurea considerati «più prestigiosi» in città anche lontane. Dove aumentano gli affitti, a causa di un mercato immobiliare drogato. E si sentono di più gli effetti dell’inflazione che è tornata a crescere ad aprile (dal 7,6% di marzo all’8,3% di aprile). Oltre a cercarsi una casa, dividendo con altri spazi sempre più angusti, gli studenti dovranno pur mangiare. E pagare il «carrello della spesa». A cominciare dal prezzo maggiorato dei beni elementari primari, anche e soprattutto per gli studenti. Come lo zucchero. Per Altroconsumo il costo al chilo nei super e iperdiscount è aumentato in un anno di quasi il 60%. Oppure la pasta, alimento leggendario per tutti i fuorisede. A marzo l’Istat ha registrato un aumento del 17,5% dal 2022.

L’INTERPRETAZIONE del dato sulla pasta è diventato un campo di battaglia in cui si sono sfidati il governo che cerca di rassicurare tardivamente le inquietudini del caro-vita, le imprese che sostengono che il maxi-rincaro è in linea con l’inflazione (cioè l’8,3%) e non c’è speculazione, e le associazioni dei consumatori che la pensano esattamente all’opposto.

AL MINISTERO delle «imprese e del made in Italy» guidato da Adolfo Urso ieri è andata in scena un’operazione «salva-spaghetti». Per la prima volta è stata convocata la «commissione di allerta rapida sui prezzi» istituita dal «Decreto trasparenza» alla quale hanno partecipato il governo, le imprese e le associazioni. Dall’allarmata riunione sono giunti messaggi contraddittori. «Mister Prezzi» Benedetto Mineo, cioè il «garante della sorveglianza», ha rassicurato gli astanti sul fatto che il prezzo dell’alimento simbolo – il fulcro della dieta mediterranea in un empito di nazionalismo culinario ever-green – sta calando dal 17,5% al 16,5%. E che sia le materie prime (frumento duro e semola) sia dell’energia sono su livelli sensibilmente più bassi rispetto allo scorso anno.

«STIAMO METTENDO in campo tutte le misure possibili per evitare le possibili speculazioni» ha aggiunto il ministro Urso. Sarà anche così. Ci si chiede perché non è stato fatto prima e se in effetti c’è stata una speculazione. «Se l’aumento del prezzo al consumo è stato del +16,5% è frutto di dinamiche esterne al mondo della produzione». Così l’Unione Italiana Food ha sostenuto la tesi prevalente. E organica alla spiegazione ufficiale data ai livelli più alti: l’inflazione non è causata dagli extra-profitti realizzati dalla pandemia in poi dai capitalisti, ma dagli alieni, pardon: dalle dinamiche esterne alla produzione.

«UN FLOP. Parole, parole, parole». Così è stata definita la riunione di ieri al ministero da Massimiliano Dona dell’Unione dei Consumatori. «Non hanno prodotto nulla di conreto contro le speculazioni in atto. I sistemi di controllo suii prezzi possono fare ben poco se poi, individuati i responsabili del problema non si possono perseguire. Ancor meno serve la moral suasion. Se poi si nega addirittura che le speculazioni ci siano, allora andiamo veramente male». Per il Codacons il prezzo della pasta è sopra quota 2 euro al pacco, per una spesa maggiorata di 25 euro a famiglia. Assoutenti ha minacciato uno sciopero degli spaghetti «per 15 giorni».

DIETRO LA DISFIDA
dello spaghetto si staglia il problema politico più grande e sistemico: chi è responsabile dell’inflazione, e chi la paga. Gli studenti che protestano contro gli affitti sono tra coloro che sentono i morsi della cosiddetta «Greed-inflation», cioè l’inflazione dell’avidità per i profitti. Quella che spinge le aziende produttrici e quelle distributrici ad alzare i prezzi finali delle merci per mantenere e aumentare i loro margini. Le tende sono anche una denuncia non solo contro i proprietari che aumentano gli affitti, ma anche contro quelle aziende che riversano l’aumento dei costi sui consumatori. Mentre salari e redditi sono fermi da trent’anni in Italia.