La foto c’è, eloquentissima, con la premier che guarda adorante il guardasigilli. La soluzione invece no. Il comunicato diramato da Palazzo Chigi alla fine dell’incontro fra Meloni e Nordio è acqua fresca: «Dare ai cittadini una giustizia giusta e veloce è una priorità di questo governo». Di certo nel colloquio la premier ha raccomandato prudenza e cautela: lo scontro con la magistratura proprio non lo vuole, anzi lo teme. Il ministro, in tutta evidenza, non sa bene cosa fare e ondeggia.
Ma anche così la foto in stile Peynet ha un suo peso e un significato preciso. La presidente, a differenza di Salvini, non ha alcuna intenzione di rompere con il guardasigilli o di sbarazzarsene. Mira a imbrigliarlo, questo sì, ma in perfetta concordia.

Più che a definire la situazione, l’incontro serviva a far piovere vistosamente la benedizione del capo del governo sulla testa del ministro, se non sui suoi confusi disegni. Giorgia è giovane e inesperta quanto alle arti del governo però non sprovveduta. Sa perfettamente che il vero bersaglio dell’assedio di via Arenula è lei e che, se il ministro venisse affondato, a uscirne molto ammaccata sarebbe lei. Sa anche e soprattutto che la giustizia è il grimaldello su cui punta Renzi per disarticolare la maggioranza facendo blocco con Berlusconi intorno al guardasigilli e alla sua riforma.

Da settimane, nella maggioranza, la pantomima sulla riforma della Giustizia si ripete, resa di giorno in giorno più surreale dal fatto che la disfida, per ora, è sul quasi nulla, non essendoci nulla di concreto. La premier frena, il guardasigilli oscilla e barcolla, Salvini bombarda, Berlusconi spinge e pressa. A fare politica sfruttando l’occasione è in compenso il Terzo Polo, che un po’ guarda davvero alla giustizia, fronte rilevante, ma molto alla manovra politica che intorno e grazie al controverso tema si può strutturare.

I fatti parlano da soli: il Terzo Polo ha fatto sapere subito, all’esordio della legislatura, che avrebbe appoggiato la riforma promessa da Nordio e fortissimamente voluta da Berlusconi. Nelle ultime settimane Renzi e Calenda sono apparsi molto più vicini al ministro di Giorgia Meloni e Salvini. Poi, in un solo giorno, i centristi hanno lanciato due segnali poco equivocabili. Il loro consigliere nel Cdm si è schierato con il candidato della destra, Fabio Pinelli, senza risultare decisivo ma schierandosi a favore della prima ascesa alla vicepresidenza del Csm di un esponente del centrodestra. La sera stessa il responsabile Giustizia di Azione, l’ex azzurro Enrico Costa, ha presentato il ddl sulla separazione delle carriere, uscendo così dalla vaghezza delle dichiarazioni d’intenti con il chiaro intento di forzare la mano al governo e in particolare al guardasigilli, con piena soddisfazione di Arcore.

Renzi, va da sé, è perfettamente conscio di quanto il circolo stretto di Arcore sopporti con insofferenza questo governo. Se la premier deludesse il Cavaliere, venendo meno alla promessa di intervenire a fondo sulla giustizia, la spinta verso il Terzo Polo sarebbe possente e di lì a poco ne andrebbe di mezzo la tenuta del governo. Ma rispettare l’impegno preso con Berlusconi vorrebbe in compenso dire imbarcarsi in un conflitto frontale con la magistratura dal quale, in questo momento, la leader della destra non ha nulla da guadagnare e molto da perdere. Chiusa in questa tenaglia Giorgia vede una sola via d’uscita: stringere a sé Nordio, impedire che diventi il punto di riferimento del blocco centristi-Fi, senza concedergli molto nella sostanza. E se è solo una foto, va bene così. Almeno per lei.