Se ne è andata nel momento peggiore, nel pieno della carneficina sociale portata avanti con spietata determinazione dal governo di Javier Milei, ma la madre di Plaza de Mayo Nora Cortiñas, a cui un’altra e ancora più terribile carneficina ha strappato il figlio Carlos Gustavo, il suo messaggio di speranza lo ha trasmesso fino all’ultimo: lottare sempre, arrendersi mai.

Ancora all’inizio del mese, con l’immancabile fazzoletto bianco in capo diventato tutt’uno con lei, «Norita», scomparsa giovedì a 94 anni, si faceva portare in sedia a rotelle in quella piazza che aveva percorso dal maggio del 1977 in un’inedita rivendicazione di maternità collettiva, senza mai perdere la speranza, purtroppo sempre frustrata, di ritrovare almeno i resti di suo figlio. E non poteva che andarsene di giovedì, il giorno in cui alle quattro di pomeriggio, a partire dal 30 aprile del 1977, si ripete da sempre la ronda delle madri (con la sola interruzione dovuta al Covid).

Lottatrice instancabile, Norita è stata il volto più noto delle donne, madri e nonne, che hanno combattuto contro la dittatura e contro tutto ciò che di questa è sopravvissuto nella faticosa e mai compiuta transizione democratica, insieme alla riflessiva Estela Carlotto, presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, e all’impetuosa Hebe de Bonafini (scomparsa nel 2022), da cui si sarebbe distanziata a partire dal 1986, andando a presiedere la Línea Fundadora.

NATA NEL 1930, aveva avuto un’infanzia lieta e un matrimonio altrettanto felice: ancora giovanissima aveva conosciuto Carlos Cortiñas, un peronista che ammirava profondamente Eva Perón, e lo aveva sposato a 19 anni. Nel 1952 era nato Carlos Gustavo, tre anni più tardi Marcelo. Il suo primogenito militava nella Juventud Peronista, collaborando con padre Carlos Mugica, il parroco della Villa 31 che la Triple A avrebbe assassinato l’11 maggio del 1974. Per Gustavo, che quel giorno compiva 22 anni, era stato il compleanno più triste. Tre anni più tardi, il 15 aprile del 1977 sarebbe toccato a lui: uscito come sempre per andare a lavoro non avrebbe più fatto ritorno.

Era cominciato così il disperato pellegrinaggio della madre, dalla cattedrale di Morón al commissariato di zona fino alla Mansión Seré, un centro di detenzione clandestina in cui si era recata nella speranza che Gustavo fosse trattenuto lì, e a vari organismi per i diritti umani. Finché non aveva saputo che altre madri, disperate quanto lei, si riunivano nella piazza principale di Buenos Aires, di fronte alla Casa Rosada, il palazzo del governo. Era il maggio del 1977 e lì cominciava la nuova vita di Nora Cortiñas, dalle cure domestiche alle strade insanguinate del paese.

«TODAS POR TODAS Y TODOS son nuestros hijos», era lo slogan ripetuto da Azucena Villaflor, la donna che guidava quel gruppo di madri ribelli: «las locas», come le chiamava con disprezzo la dittatura militare. Ma Norita non si era fatta intimidire, neppure quando, nella notte del 10 dicembre 1977, Giornata internazionale dei diritti umani, la fondatrice delle Madri, insieme a Esther Ballestrino de Careaga e a María Eugenia Ponce de Bianco, era stata sequestrata da un gruppo armato e trasferita alla Esma, l’infernale Scuola di Meccanica della Marina di Buenos Aires dove oltre 5 mila persone sarebbero state rinchiuse (e da cui in pochi sarebbero usciti vivi).

Norita non sarebbe mai riuscita a conoscere il destino di suo figlio, ma avrebbe fatto sua ogni lotta in difesa dei diritti umani combattuta da allora nel suo paese: per il pane e le rose, per «verità, memoria e giustizia», per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito, per la causa mapuche, in difesa della salute pubblica e delle fabbriche recuperate, contro il debito illegale e illegittimo, il saccheggio estrattivista e, naturalmente, il negazionismo di Milei e della sua vice Victoria Villarruel. «La preoccupazione è grande – aveva dichiarato all’indomani della vittoria di Milei -, perché ci sono voluti anni e anni, con perdite, carcere e molta pena, per le conquiste che abbiamo realizzato per i diritti umani. Vogliamo il meglio per il nostro popolo, vogliamo che sia felice e non è possibile che venga spazzato via in un attimo ciò che abbiamo ottenuto con tanta fatica».

MA NON È SOLO IN ARGENTINA che Norita si è fatta conoscere e amare: da Haiti alla Palestina, dalla selva zapatista alle montagne del Kurdistan, mai ha fatto mancare la sua solidarietà militante. Imprescindibile, secondo il significato dato al termine da Bertold Brecht.
Come «la madre di tutte le battaglie» – sociali, ecologiche, femministe – viene non a caso ricordata oggi. E così l’ha descritta la sua famiglia dando notizia in un comunicato della sua scomparsa: «Profondamente preoccupata per la grave situazione attraversata dal paese e disposta sempre a stare in qualunque luogo si commettesse un’ingiustizia, Norita ha lottato fino all’ultimo momento per la costruzione di una società più degna. Ci resta l’orgoglio di aver condiviso la sua vita e il suo insegnamento». Pochi minuti dopo, in Piazza di Maggio, dove in tanti sono venuti a renderle omaggio, è comparso un cartello con la scritta «Nora eterna».

IMPOSSIBILE ELENCARE tutti coloro che hanno voluto mandare un messaggio di cordoglio, tra esponenti politici, dirigenti sociali, personalità dello spettacolo, leader femministe, difensori dei diritti umani e un numero incalcolabile di militanti. «Cercando suo figlio Gustavo – ha scritto per esempio l’associazione Hijos (quella dei Figli per l’identità e la giustizia, contro l’oblio e il silenzio) – si è fatta madre del popolo. Con il suo fazzoletto bianco e con quello verde, nelle lotte per la giustizia, con il sorriso, con la forza dell’impossibile».
«Mi piacerebbe – ha detto una volta Norita – che mi ricordassero dicendo semplicemente: te la ricordi Nora? Era presente ovunque». Ma non sarà ricordata solo così.