Cultura

La più bella canzone «sulla» Resistenza

La più bella canzone «sulla» ResistenzaPartigiani a Milano, 29 aprile 1945 – Memoriale della Liberazione di Milano

Voglia di Liberazione Il testo del poeta Dante Bartolini incrocia lo storico Claudio Pavone che ha mostrato come la Resistenza fosse l’intreccio di tre guerre distinte: patriottica, civile, di classe. Tutte nel canto

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 24 aprile 2020

Io credo che la più bella canzone sulla Resistenza (non della Resistenza: è stata scritta dopo, ed è come un riassunto del suo significato) è stata scritta da Dante Bartolini, operaio e partigiano di Castel di Lago, vicino Terni, sull’aria da cantastorie della «Povera Giulia». La si può sentire, cantata da Piero Brega, nel Cd Calendario Civile (Nota) o cantata dall’autore stesso e da suoi compagni di vita nel Cd che accompagna il libro La Valnerina ternana curato da me e Valentino Paparelli (Squilibri).

Dice così:
Non ti ricordi, mamma, quella notte / dai fascisti la perquisizione:/ chi dava le purghe e chi le botte/ così faceva tutta la nazione./ Colla violenza mi volevan piegar,/ non feci l’obbedienza, dovetti via scappar..// Coi partigiani andai sulla montagna / dov’è la neve, freddo e la bufera / sentivo solo il fischio di mitraglia / e giorno e notte, la mattina e sera./ Senza paura, o vincere o morir, / ora la nostra patria dobbiamo ripulir.// Dopo l’otto settembre, l’armistizio,/ l’esercito italiano fu sbandato / e pe’ non mandarlo in precipizio / l’esercito si forma partigiano. / Contro i fascisti, il barbaro invasor /presero l’armi in mano per acquistar l’onor. // Quanti sospiri e pianti, mamma mia, /fratelli, spose, figli e le sorelle; / dal cuore levate la malinconia,/ presto leggete pagine più belle. / Che il socialismo vuole la libertà / non più il servilismo che è condannato già.// La morte, la tortura e la prigione / se tu cadevi nelle loro mani;/ fascismo e monarchia fu la cagione / che diventarno tutti partigiani. // Il venticinque del mese di april/ venne l’insurrezione e fu la loro fin.

Dante Bartolini non aveva letto Claudio Pavone. In compenso, Claudio Pavone aveva letto Dante Bartolini: «Il difficile nesso fra lotta in fabbrica e lotta armata», scrive in Una guerra civile, «è ben espresso nei versi di un poeta proletario ternano, Dante Bartolini, a proposito di un episodio soltanto immaginato». Non erano versi scritti, ma racconto orale, scandito come un poema epico:

La fabbrica d’armi di Terni
andammo migliaia di operai
fu rotto il cancello
spalancato
prendemmo le armi
una parte
poi si partì per la montagna.

Dante Bartolini, poeta, materializza una metafora, «prendere le armi»; ma un grande storico come Claudio Pavone sa che il sapere storico prende forma anche nell’immaginazione del poeta. Peraltro, Dante le armi le aveva prese davvero, e a guidarlo in montagna fu la coscienza che si era formata in fabbrica fin da ragazzo. Figlio di un socialista storico, aveva militato nel partito comunista clandestino («Quelli che non erano comunisti, ce l’hanno fatti diventare loro… Se chiedevi un diritto, ti dicevano che eri comunista – «Ma allora i comunisti dicono le cose fatte bene, no?»); aveva partecipato a tutte le vicende della Brigata Gramsci come comandante di battaglione e commissario politico. Nel dopoguerra fu licenziato, insieme a più di altri duemila, in maggioranza del Pci e della Cgil, cacciati fra il 1952 e il ‘53: «Il dodici dicembre a mattina, brutta notizia alla nostra famiglia / piange la madre, la moglie e la figlia / che più nessuno gli porta il denar…». Non conosco miglior sintesi di una «repubblica democratica fondata sul lavoro» dei versi finali di questa sua canzone di resistenza: «Il sette giugno andranno a votare / le settecento famiglie in miseria / e le urne saranno affollate / per castigare chi ha tolto il lavor».

Come tanti operai contadini, sapeva fare tutto, sapeva uccidere i maiali, raccogliere le erbe… Soprattutto, sapeva ricordare e raccontare. Le sue canzoni segnano la memoria con le date: il dodici dicembre, i licenziamenti; «Non ti ricordi ancora del 10 marzo», la battaglia partigiana di Poggio Bustone, 1944; «Il 17 marzo lasciammo le officine / per dire a lor signori non più morte e rovine…», l’uccisione dell’operaio Luigi Trastulli nel 1949 … Anche il racconto citato da Pavone cominciava con una data: 8 settembre 1943.

Anche la canzone con cui lo ricordo oggi comincia con «Non ti ricordi», ma la data sta alla fine: il «25 del mese d’april». Anche qui, Dante Bartolini incrocia Claudio Pavone. Pavone ha mostrato come la Resistrenza fosse l’intreccio di tre guerre distinte: guerra patriottica, guerra civile, guerra di classe. Le ritroviamo tutte e tre nella canzone di Dante Bartolini: patriottismo (guerra patriottica), «ora la nostra patria dobbiamo ripulir»), antifascismo («non più il servilismo», «fascismo e monarchia fu la ragione») e guerra di classe («il socialismo vuole la libertà»). Claudio Pavone, storico e partigiano, ascoltava l’immaginazione del poeta operaio; Dante Bartolini, partigiano e cantore, distilla in tre strofe, senza averle lette, le stesse conclusioni dello storico. Dante Bartolini è morto nel 1979, il 17 marzo – l’anniversario di Luigi Trastulli, il martire operaio la cui memoria vive anche grazie a lui.

Ragionava, con echi inconsapevoli del Menochio di Carlo Ginzburg:«Senti li vecchi che t’arcontano, figlio mia? Noi diciamo le cose che abbiamo vissute, è il modello delle sofferenze e un ricordo che non finisce mai. Non è filosofia questa, che ti commuove e tu credi d’anda’ in paradiso e invece te ne vai sottoterra. E quando sei andato là dentro, ciao, non se ne parla più; perché vediamo tutti gli antenati, non è ritornato nessuno. Almeno ci avessero mandato, per l’aria, per lo spirito, qualche indizio… Ma che t’ho da di’. Quelli hanno sofferto, so’ morti, so’ diventati acqua, cenere e poi terra. Noi siamo vermi di terra. Essa cià costruito e a essa riveniamo».

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