La partita doppia di Elly Sclein, dentro e fuori il partito
Sinistra Per la sua vittoria non c’è stata dall’esterno un’Opa ostile. Ma il sostegno esterno è arrivato lo stesso, segno di centralità del Pd anche nella mente di chi non lo vota
Sinistra Per la sua vittoria non c’è stata dall’esterno un’Opa ostile. Ma il sostegno esterno è arrivato lo stesso, segno di centralità del Pd anche nella mente di chi non lo vota
La vittoria di Elly Schlein alle primarie del Partito democratico rappresenta il coronamento della logica delle primarie. Il Pd è l’unica organizzazione al mondo che fa scegliere la propria leadership a chiunque voglia, invece che a iscritti e iscritte. E per la prima volta, le primarie hanno rovesciato il voto dei circoli, riaprendo la polemica: un pezzo di apparato vive la vittoria di Schlein come un’Opa ostile.
Non si tratta, va detto, di una novità: la logica dell’Opa sul Pd da parte della sinistra ad esso esterna era uno degli elementi centrali del progetto di Nichi Vendola, che due volte ha vinto le primarie in Puglia (ironia della sorte, contro Francesco Boccia, oggi coordinatore della mozione Schlein), così come Giuliano Pisapia a Milano. Persone a sinistra del Pd alla guida di governi a maggioranza Pd. Si trattava però di primarie di coalizione, per la scelta di candidati, e non della leadership del partito.
Elly Schlein ha portato il gioco della propria contemporanea internità ed esternità al Pd a livelli mai tentati prima. Una candidata riconosciuta dagli elettori del Pd (che l’hanno eletta nelle proprie liste sia alle europee del 2014 sia alle politiche del 2022) ma da chi sta all’esterno, nella sinistra extra-Pd fatta di partiti, movimenti, liste civiche, di cui Schlein ha fatto parte tra il 2015 e il 2022, e da cui è stata sostenuta e ospitata in decine di eventi, come in occasione del tour di presentazioni del suo libro “La nostra parte” lo scorso anno. Una candidata segretaria che si iscrive al partito a congresso convocato: sia esterna sia esterna al Pd.
E ha funzionato: secondo Noto Sondaggi, soltanto metà dei partecipanti alle primarie aveva votato Pd alle politiche, mentre il 22% dei votanti aveva votato per il M5S e quote inferiori sono arrivate da elettori di altre forze di sinistra e dall’astensione. I dati raccolti dallo standing group su “Candidate and Leader Selection” della Società Italiana di Scienza Politica segnalano che il 78% dei sostenitori di Schlein non sono iscritti al Pd, contro il 66% di chi ha scelto Bonaccini.
Interpretare questi dati in termini di «truppe cammellate» spostate da qualcuno per conquistare il Pd dall’esterno, come alcuni hanno fatto, sarebbe un errore. Nella politica di oggi, in particolare a sinistra, le truppe si sono sciolte, gli ufficiali latitano e i cammelli si muovono con volontà propria. Non c’è stata alcuna Opa ostile: il cuore dell’operazione, tra Schlein, le persone a lei più vicine, e i capicorrente che l’hanno sostenuta, è stato tutto all’interno del Pd, senza relazioni esplicite con soggetti esterni. Ma il sostegno esterno è arrivato comunque, gratis e dal basso, segno di sfiducia nei confronti delle forze extra-Pd o comunque di centralità del Pd stesso anche nella mente di chi non lo vota.
Il punto è che il Pd, nella lunga transizione italiana, assume alcuni caratteri del partito all’americana come spazio politico di riferimento di settori ampi e diversificati della società, pur mantenendone altri più legati alla tradizione europea del partito come organizzazione collettiva ideologicamente coesa. Moltissime persone, dentro e fuori il Pd, non amano il Pd né i suoi dirigenti, ma sono convinte che del Pd, per vincere e governare non si possa fare a meno. A queste persone e alle loro istanze di radicalità e cambiamento ha parlato Elly Schlein.
Se questa ambiguità tra interno ed esterno è risultata vincente alle primarie, cosa comporterà a urne chiuse? La segretaria del Pd punterà a far entrare nel Pd chi l’ha sostenuta, a discapito dei dirigenti interni? I primi segnali vanno in direzione opposta, con una segreteria che si annuncia improntata al ricambio generazionale interno, una presidenza che i giornali affiderebbero al moderato Dario Nardella e un profilo rassicurante verso gli sconfitti delle primarie. L’impressione è che, come Schlein è riuscita a prendere i voti della sinistra ex-Pd senza patteggiare con le sue strutture, così ora punti all’assorbimento degli elettori senza grandi scossoni.
Questi elettori la seguiranno? Secondo i già citati dati SISP, tra chi ha votato Schlein il 33% dichiarava che avrebbe votato Pd solo nel caso di vittoria della propria candidata, mentre il 7% che non avrebbe votato Pd in ogni caso.
Le europee del prossimo anno forniranno un primo test per capire se davvero il nuovo Pd di Schlein riuscirà a erodere l’elettorato di Verdi-Sinistra e M5S. Se così non fosse, vorrebbe dire che un pezzo significativo di elettorato di sinistra si riconosce in lei ma non nel suo partito, e l’ha votata immaginandola più come leader della coalizione di opposizione che come segretaria del Pd.
Come avvenuto all’epoca con Prodi e in tempi più recenti con Giuseppe Conte, nella politica delle personalità ci sono leadership che si affermano a prescindere dai partiti e che si attaccano a un partito per bisogno strutturale. Sul rapporto tra il ruolo all’interno del Pd, con le sue costrizioni e compatibilità, e le aspettative di un popolo più ampio, quello di un centrosinistra che a oggi non esiste, si gioca molto della prospettiva futura della segretaria Schlein.
* Sociologo della Scuola Normale Superiore di Firenze
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