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La pagliuzza e la trave su nomine e teatri

Curiosamente, ma non tanto, i politici si infiammano (o solo temporaneamente si distraggono) a parlare di teatro o di organizzazione della cultura, solo se l’argomento serve ad alimentare o strumentalizzare […]

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 13 maggio 2016

Curiosamente, ma non tanto, i politici si infiammano (o solo temporaneamente si distraggono) a parlare di teatro o di organizzazione della cultura, solo se l’argomento serve ad alimentare o strumentalizzare qualcosa ai fini della loro politica. Ora è il caso di Parma, e del suo bellissimo e importante Teatro Regio, per la cui direzione amministrativa e artistica il cda ha scelto due persone fuori della lista di coloro che avevano risposto al fatidico «bando». Per questo sono indagati il sindaco 5 Stelle Federico Pizzarotti e l’assessora alla cultura Laura Ferraris, assieme agli altri tre membri dell’organismo di governo del teatro.

Non è un fatto nuovo, è già accaduto in maniera analoga per altre amministrazioni, per altro governate dal Pd, e con responsabilità specifiche ben più eclatanti. A Cagliari ha preso corpo negli anni scorsi un pesante tormentone quando il sindaco Zedda (candidato da Sel) aveva nominato alla sovrintendenza del Teatro Lirico (un ente operistico dei 13 nazionali, a differenza del Regio che ha riconoscimento, e investimento, solo «comunale»), una modesta organizzatrice teatrale, rappresentante di alcuni attori di prosa di cui era agente. Ci sono state vere sollevazioni, in città e sui giornali, in quella occasione. E ancor più violente da parte delle maestranze, e perfino dai rappresentanti delle fondazioni bancarie che siedono nel consiglio.

Il sindaco, solo contro tutti (nel senso che veniva lasciato letteralmente solo a votare) aveva continuato a reiterare quella nomina. Arrivando ad asserire che l’interessata «aveva già lavorato per l’ente lirico», per sentirsi mestamente rispondere dagli oppositori «sì, ma alla biglietteria». Era dovuta intervenire la magistratura a quel punto, mentre il consiglio votava altri candidati. Il processo è stato lungo e imbarazzante, ma si è concluso con l’assoluzione del sindaco Zedda. Che oggi, dopo gli interventi molto discussi, almeno in campo culturale, si presenta con il pieno appoggio pd al test del 5 giugno per la rielezione.

Vale la pena ricordare che le due signore nominate da Pizzarotti sono state in precedenza l’una direttrice organizzativa della Teatro del Carretto, compagnia serissima che il riconoscimento pubblico se l’è conquistato con rigore e fatica, mentre la consulente artistica da parte sua dirige da svariati anni, e con unanimi riconoscimenti, l’Autunno musicale a Como, una delle migliori manifestazioni del settore in Italia.

Un punto che andrebbe radicalmente chiarito a sinistra è del resto proprio quello dei «bandi pubblici», considerati la panacea contro la corruzione e i favori, mentre di fatto sono l’occasione di massimo arbitrio per i politici e per i loro prescelti. Uno può presentare i titoli che vuole, diplomi e lauree e referenze lussureggianti, ma chi è chiamato a scegliere potrà sempre dire di privilegiare un aspetto, o un titolo, più significativo di un altro. Essendo quella l’autorità decisionale, sarà difficile smentirla con opinioni e valutazioni «culturali».

Proprio nel campo dello spettacolo della regione cui Parma appartiene, si è alla vigilia di avvicendamenti importanti: stanno per essere rinnovate le direzioni della principale istituzione regionale: Emilia Romagna Teatro, uno dei pochi in Italia a potersi fregiare della qualifica «nazionale», e il festival di Santarcangelo, per molti anni la fucina-vetrina del nuovo teatro, oggi in verità leggermente appannata. Nessuno si illude che le nomine saranno magnifiche, anzi le voci di corridoio, o di autostrada adriatica, sono piuttosto preoccupate.

Forse sarebbe il caso di abbandonare l’uso e l’abuso dei bandi, e fare come avviene ad esempio in Francia o in Germania. L’autorità si prende la responsabilità politica di una scelta, senza il paravento di commissioni o giurie dal discutibile fondamento, e dopo anche un solo anno, se l’incaricato prescelto non funziona, salta, sia pure il sovrintendente o il direttore di un festival nazionale.

Ma questo vorrebbe dire essere almeno informati sulla macchina culturale, sui suoi meccanismi delicati e sulle sue necessità. Nessuno, col ministro Franceschini in testa, conosce i bisogni veri e specifici del settore, se non il suo richiamo di vetrina mediatica. Come il commissario romano Tronca, molto soddisfatto e compreso l’altro ieri nel consegnare la Lupa capitolina a Peter Brook, asserendone l’importanza rispetto all’occuparsi delle buche stradali, nello stesso giorno in cui ha chiuso d’autorità il teatro La Comunità, spazio ultratrentennale di Giancarlo Sepe.

Per tornare a Parma e al «delitto Regio», sorprende il livore massiccio e l’esibizione di rigidità morale (che neanche le elezioni possono giustificare) di tanti esponenti pd, che pure a quella «disinvoltura» non sono estranei. Certo, è anche vero che fu per un provvidenziale zoom nel calderone del decreto Milleproroghe da parte di un esponente pentastellato, se si riuscì a cancellare un emendamento che prevedeva il finanziamento tacito di un milione di euro l’anno per tre anni a Romauropa Festival, con a capo la moglie di uno dei responsabili di politica economica del Pd, Marco Causi. La pagliuzza e la trave non sono solo una parabola evangelica.

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