Il 24 febbraio saranno due anni dal giorno dell’invasione russa dell’Ucraina che ha scatenato una nuova guerra nel continente europeo per la quale l’Unione europea e i suoi membri hanno deciso di seguire la strategia militare della Nato, anziché la via del negoziato e della soluzione politica, scaricando tonnellate e tonnellate di bombe, proiettili, droni, missili, carri armati. Risultato: un disastro, centinaia di migliaia di morti sul campo, milioni di profughi e sfollati, un terzo dell’Ucraina distrutta, il rischio di un incidente o di un’escalation nucleare.

Tutto ciò era prevedibile e da evitare. Una decisione irresponsabile, dettata da interessi di una strategia aggressiva e muscolare piuttosto che di difesa degli interessi europei, che paghiamo tutti quanti, a caro prezzo. E la guerra, i morti e le distruzioni continuano.

La politica, i governi europei e buona parte della stampa, non hanno voluto prendere atto che il conflitto apertosi tra Russia ed Ucraina è conseguenza delle scelte dell’Alleanza atlantica e dell’assenza di una politica estera europea di sicurezza comune e condivisa, abbandonata dopo il crollo del muro di Berlino, per dare spazio ad altri disegni – e facili profitti. Quando, invece, la storia e i fatti, se letti e interpretati con onestà, indicano chiaramente che è in corso uno scontro tra potenze, grandi e piccole, per creare un nuovo ordine mondiale e come la guerra sia lo strumento ed il mezzo scelto per vincere questo scontro. Uno scenario inquietante che abbiamo denunciato con tante manifestazioni promosse da Europe for Peace, la grande coalizione di associazioni e sindacati, che hanno portato nelle piazze italiane centinaia di migliaia di cittadine e cittadini, nella quasi totale indifferenza o dileggio della politica e dei media mainstream.

Poi, arriva il 7 ottobre, che rimette al centro dell’attenzione il dramma che da decenni impedisce la costruzione della pacifica convivenza nella terra di Palestina e in Medio Oriente. La nostra posizione è stata di chiara condanna dell’azione criminale di Hamas, chiedendo l’immediato rilascio degli ostaggi israeliani e l’azione della comunità internazionale e della diplomazia per evitare che il diritto di difesa d’Israele, si trasformasse in un’ azione di vendetta e di punizione collettiva nei confronti della popolazione palestinese.

Anche in questo caso, come per l’Ucraina: condannare crimini di guerra, chiedere di proteggere ed assistere le vite umane e di agire nel rispetto del diritto internazionale come unica strada per costruire convivenza, sicurezza comune e pace giusta, è risultata essere una posizione scomoda e attaccata da chi, invece, ha sempre bisogno di schierarsi a difesa del proprio alleato a prescindere dai fatti e dalle violazioni del diritto internazionale, per poi giustificare l’intervento militare.

Neppure quello che sta avvenendo nella Striscia di Gaza, con l’assedio ed il bombardamento su di una intera popolazione senza soluzione di continuità, sembra scalfire il fronte della guerra e della logica dell’amico/alleato. Come non nascondere delusione e scoramento per l’assenza di un dibattito serio e responsabile nel parlamento, nel paese per capire cosa stia accadendo, come fermare questa escalation di violenza e di guerre che stanno distruggendo vite e speranze di intere generazioni future, dentro e fuori i confini d’Europa.

Ben venga, finalmente, la presa di posizione della segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, che sembra aver ripreso la forza ed il coraggio di dire come stanno le cose, che bisogna fermarsi a ragionare e che non si può continuare ad inviare armi a chi viola il diritto internazionale ed il diritto umanitario. Una posizione che sarebbe normale e fondata sulle nostri leggi e sulla costituzione, in un paese normale, ma che nel nostro contesto rischia di equivalere ad una scomunica politica.

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Noi, invece, chiediamo conto a chi propone ed approva l’aumento delle spese militari ed i tagli alla sanità, all’educazione, alla messa in sicurezza del territorio, a chi vota per lo smantellamento della Legge 185 per proteggere il commercio ed i profitti della vendita di armi ai paesi in guerra o che violano costantemente i diritti umani, a chi decide di partecipare a nuove coalizioni di volonterosi nel Mar Rosso senza alcun dibattito parlamentare, senza vedere che la somma di tutte queste decisioni ha come risultato la messa in pratica, senza mandato alcuno, di una folle politica di guerra. Non in nostro nome, non in un paese democratico che ripudia la guerra.

Da tempo chiediamo il confronto con la politica, ma a parte singoli parlamentari impegnati da sempre per la pace, non sono ancora arrivate risposte e disponibilità di dialogo, per cui registriamo con soddisfazione queste prese di posizione che indicano un’altra strada, raccogliendo le preoccupazioni della maggioranza degli italiani e delle italiane contraria alla guerra. Sono segnali, questi, che danno speranza e che ci sentiamo di sostenere, perché oggi, più che mai, abbiamo bisogno di confrontarci, di partecipazione popolare, di mobilitazioni, di dibattiti, di discussioni per far vincere la politica di pace, per portarla dentro i programmi e le agende dei governi e delle sedi istituzionali, perché la pace non è la ridotta dei pacifisti ma l’architrave che tiene insieme economia, diritti, libertà, democrazia, uguaglianza, sicurezza comune.

Per tutto questo, per il cessate il fuoco in Palestina e in Ucraina, per fermare tutte le guerre, per costruire una politica di pace, il 24 febbraio sarà una giornata di mobilitazione in tutte le città italiane. L’Italia deve dire basta alle guerre, ora.

* Coordinatore dell’Esecutivo di Rete italiana Pace e Disarmo (Europe for Peace, AssisiPaceGiusta)
Area Politiche Internazionali Cgil