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La “pace” dello sceicco Trump

La “pace” dello sceicco Trump – foto Lapresse

Medio Oriente Adesso arriva la seconda parte del programma di Trump e Israele: rimettere in discussione all’Onu la missione Unifil se non neutralizza gli Hezbollah, imporre all’Iran l’embargo sulle armi convenzionali in via di scadenza, trovare un governo amico in Libano foraggiato dal Golfo, contenere la Turchia

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 15 agosto 2020

Il presidente Trump è ormai lo sceicco degli Emirati uniti d’America, di un Paese che in politica estera è più incline a fare patti con le monarchie del Golfo, i suoi maggiori clienti di armamenti, che con un Occidente atlantista in via di disgregazione con la deriva della Turchia e un’Unione europea sempre meno protagonista anche nel Mediterraneo.

Trump iniziò la presidenza con un coreografico viaggio in Arabia saudita per raccattare 100 miliardi di dollari dal principe assassino Mohammed bin Salman, il mandante dell’orrenda uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, e si avvia a concludere il suo primo mandato con un accordo tra Israele e gli Emirati di Bin Zayed che sancisce quasi ufficialmente la nascita di una Nato araba a trazione ebraica.

L’accordo di pace come è stato contrabbandato non esiste perché non c’è mai stata guerra tra Israele e gli Emirati, al contrario di Egitto e Giordania che per altro oggi collaborano con lo stato ebraico, in particolare il generale Al Sisi. Si tratta in realtà di un’intesa che fa degli Emirati il paravento del prossimo passo, quello del riconoscimento da parte dell’Arabia saudita. Per chiudere il cerchio di oltre 70 anni di ferree alleanze americane in Medio Oriente, una con lo stato ebraico e l’altra con la casa reale saudita, forgiata da Roosevelt nel 1945 ancora prima della fine della seconda guerra mondiale.

In questo senso tra democratici e repubblicani c’è poca differenza: Clinton si fece finanziare il 20% della sua campagna elettorale dal principe saudita Bin Salman, i repubblicani hanno sempre preso soldi dalle monarchie del Golfo attraverso il complesso militar-industriale, primo fornitore di armamenti degli sceicchi. Come dice il genero di Trump Jared Kushner, altri Paesi arabi e musulmani possono seguire l’esempio degli Emirati. Se i sauditi riconoscono Israele ci potrebbe essere una sorta di effetto a cascata visto il numero consistente di Paesi che dipendono dal sostegno finanziario dei custodi di Mecca e Medina.

Questa è un’alleanza di ricchi che in genere foraggiano Paesi poveri come l’Egitto guerre come in Libia e Yemen e per tenere in pugno il potere. E’ ovvio che non si tratta di una pace tra popoli ma con élite arabe che devono in primo luogo temere i movimenti fondamentalisti come i Fratelli Musulmani e altri ancora più integralisti che hanno sostenuto negli anni per portar la guerra in casa d’altri come accaduto in Siria e Iraq. Altro che patto di Abramo come lo definisce Trump.

Si sta creando un asse formidabile in chiave anti-iraniana e in parte anti-turca. I russi, che hanno ottimi rapporti con tutti i protagonisti della regione, a partire da Israele, avrebbero qualche cosa da temere in un’alleanza che ha come obiettivo di eliminare iraniani e Hezbollah libanesi, alleati di Mosca per tenere in piedi il regime di Assad. Ma Putin non ha detto mai una parola contro i raid israeliani in Siria. Non è invece difficile prevedere che la Mezzaluna sciita stia preparando già le sue contromosse a cominciare dal Libano che è stato il vero acceleratore di questa intesa che probabilmente prepara non la pace ma nuove guerre.

La mossa degli Emirati e Israele si inserisce in un quadro geopolitico dove gli Usa con Israele stanno creando una sorta di “Nato araba” che si oppone agli sciiti ma anche alla Turchia di Erdogan, un membro della Nato sempre meno amico dell’Occidente che sta allungando la mano sul Mediterraneo orientale e la Libia.

Di questa Nato araba fanno parte gli stati amici degli Usa, le ricche monarchie del Golfo come Emirati, Arabia Saudita e l’Egitto del generale Al Sisi, le cui forze armate sono finanziate dagli Usa. Questo _ da notare_ è anche l’asse che insieme alla Russia e alla Francia appoggia il declinante generale Khalifa Haftar in Cirenaica, recentemente sconfitto della Turchia che per sostenere il governo Sarraj ha occupato la Tripolitania e due importanti basi militari.

Una parte di questa coalizione, con Francia, Grecia, Egitto ed Emirati, fa parte della coalizione che si oppone al sultano atlantico nel Mediterraneo orientale. In questa area ribollente Ankara ha fatto accordi con la Libia e vuole ribaltare le zone economiche speciali offshore per l’esplorazione di gas, da cui ritiene di essere stata ingiustamente esclusa. Di questo asse fa parte anche Israele che pochi giorni fa ha dato la sua solidarietà alla Grecia nel contenzioso con la Turchia, una solidarietà anche militare visto che i droni israeliani sono schierati a Cipro. Gesto molto apprezzato dalle monarchie arabe che (tranne il Qatar) destano Erdogan protettore dei Fratelli Musulmani.

Adesso arriva la seconda parte del programma di Trump e Israele: rimettere in discussione all’Onu la missione Unifil se non neutralizza gli Hezbollah, imporre all’Iran l’embargo sulle armi convenzionali in via di scadenza, trovare un governo amico in Libano foraggiato dal Golfo, contenere la Turchia. C’è la “pace” dello sceicco Trump, cosa si può volere di più?

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