L’agronomo: «La Pac deve diventare politica sul cibo»
Ue e agricoltura Intervista a Riccardo Bocci, direttore tecnico di Rete Semi Rurali: «La Commissione voleva raggiungere l’obiettivo attraverso le scelte dei consumatori, invece di fare politica s’è appoggiata sul mercato. I cittadini visti come consumatori»
Ue e agricoltura Intervista a Riccardo Bocci, direttore tecnico di Rete Semi Rurali: «La Commissione voleva raggiungere l’obiettivo attraverso le scelte dei consumatori, invece di fare politica s’è appoggiata sul mercato. I cittadini visti come consumatori»
«La politica agricola comune (Pac) ha un problema di fondo: viene negoziata con gli attori e i corpi intermedi e sindacali del mondo agricolo, ma non è ancora vissuta come una politica dell’alimentazione e del cibo, non allarga lo sguardo ad altri attori, come i cittadini, con interessi diversi» sottolinea Riccardo Bocci, agronomo e direttore tecnico di Rete Semi Rurali.
Cosa significa?
Che resta molto settoriale, legata all’esigenza di garantire un welfare a un soggetto, l’agricoltore, che opera in un settore economico singolare, perché sta in mezzo, non fa i prezzi di ciò che vende e compra le materie prime che non produce lui. La Pac (che vale un terzo del bilancio europeo, 387 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027, ma era arrivata a pesare il 50% del bilancio, ndr) è servita a tenere i prezzi bassi al consumo, a garantire un cibo di basso costo.
Che cosa manda in crisi questo modello?
Dalla strategia Farm to Fork a quella per la Biodiversità al 2030, dalle nuove richieste di riduzione dei pesticidi alle misure per il ripristino della natura, la Commissione ha varato una serie di misure che hanno un impatto sulla Pac ma che non sono state negoziate insieme alla nuova politica agricola comune 2023-2027. È il fallimento di una capacità di raggiungere un compromesso tra forze diverse dentro la società, che riguarda anche i sindacati, che non hanno percepito il malcontento. Coldiretti, in particolare, non è stato in grado di gestirlo, perché è chiaro che gli agricoltori non si sono sentiti abbastanza protetti.
Quali errori ha commesso la Commissione europea?
Vedo cinque anni persi. La Commissione aveva fatto troppo affidamento sul fatto che le strategie parallele avrebbero consentito un cambiamento dei sistemi agrari appoggiandosi sui consumi: l’obiettivo di raggiungere un 25% di terreni in regime di agricoltura biologica non è nella Pac, ma nel Farm to Fork, ma come puoi raggiungerlo se non dando loro adeguata assistenza tecnica? Era chiaro che la Commissione voleva raggiungere l’obiettivo attraverso le scelte dei consumatori: se i cittadini avessero consumato “bio”, gli agricoltori lo avrebbero fatto. La Commissione invece di fare politica s’è appoggiata sul mercato, i cittadini visti come consumatori. Questo ingranaggio è crollato con la “guerra in Ucraina”, l’aumentano dei costi di produzione, il crollo del potere d’acquisto. La Commissione non è stata capace di ripensare la Pac, perché non aveva la forza di imporre ai sindacati qualcosa di diverso e questi non hanno fatto propria la sfida dell’agricoltura davanti ai cambiamenti climatici: chiedono reddito, sostegno al reddito, continuare a produrre in maniera industriale.
Che cos’è mancato in Italia?
I trattori sono mobilitati contro le rotazioni o il maggese (il riposo dei terreni) o per non ridurre l’uso dei pesticidi, posizione condivisa dal governo e dai sindacati che in Italia sono tornati a dire che “non si può produrre senza”. E invece, la Pac andrebbe riformata perché ancora oggi il contributo maggiore è legato alle superfici, contributo ad ettaro, non alle pratiche ecologiche. In Italia, però, mentre questa protesta montava, negli ultimi sei mesi si è parlato solo di “carne sintetica”, che tecnicamente non esiste.
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