La Germania è un paese spesso preso a modello per la qualità e la diffusione delle infrastrutture ciclistiche. La quota modale delle biciclette (ovvero la quota di una modalità di trasporto nel mercato complessivo dei trasporti) ha superato da tempo il 10 per cento e delle dieci città più bike friendly del mondo tre sono tedesche. Tali risultati derivano da un investimento economico e culturale del paese che a sua volta è il frutto della concertazione fra cittadinanza organizzata e autorità locali, realizzata attraverso un particolare strumento di democrazia diretta, il Bürgerentscheid, attivo in tutte le città dal 1956 e con alcune differenze a seconda dei Lander. È in questo contesto di mobilitazione e trattativa che nella città di Berlino il movimento indipendente Changing Cities ha negoziato la prima legge sulla mobilità tedesca. Ragnhild Sørensen, che sarà ospite al Pavè Bike Festival di Venezia, è la responsabile della comunicazione della Ong.

Berlino è una città per ciclisti?

Ne ha sicuramente il potenziale. Berlino ha strade larghe, grandi viali e vie residenziali alberate, che danno molta agibilità ai motociclisti, mentre le infrastrutture per il traffico di biciclette sono quasi assenti. Il 60 per cento dello spazio pubblico urbano è pensato per le auto, tutte le altre tipologie di mobilità e attività si devono concentrare nel restante 40 per cento. Un fatto ancora più assurdo e ingiusto se si guarda alla ripartizione modale a Berlino: solo il 26 per cento ( dati del 2018) viaggia in auto e i numeri sono in calo (nel 2013 ammontavano al 30 per cento). In quel lasso di tempo sempre più persone hanno deciso di usare la bicicletta: nel 2013 erano 13 per cento, nel 2018 sono aumentate al 18 per cento; questo trend è ancora in corso.

Storicamente cosa è stato fatto in città per agevolare la mobilità in bicicletta?

In passato ci sono stati pochissimi miglioramenti: le piste ciclabili a Berlino occupano normalmente una larghezza di circa 80 cm sui marciapiedi e sono state realizzate solo laddove il marciapiede era abbastanza largo; di conseguenza non si è creata una rete continua e coerente di infrastrutture per biciclette. Era troppo pericoloso andare in bicicletta a Berlino, quindi nessuno lo ha fatto.

Per cambiare questa situazione Changing Cities ha lanciato un referendum: su cosa sono stati interpellati i cittadini e qual è stata la risposta?

Il nostro obiettivo era molto semplice: volevamo che fosse più sicuro andare in bicicletta a Berlino. Ci siamo concentrati su 10 misure che avrebbero potuto rendere la città più bike friendly (piste ciclabili protette, parcheggi sicuri, messa in sicurezza degli incroci). Abbiamo redatto una proposta di legge e abbiamo chiesto alla gente di Berlino il loro sostegno. Avevamo bisogno di 20 mila firme, ma dopo sole tre settimane e mezza avevamo raccolto oltre 105 mila firme.

Quali sono gli aspetti più importanti di questa legge e come siete riusciti ad ottenerla?

Abbiamo iniziato a raccogliere firme in periodo elettorale e il nuovo governo di Berlino ha capito che non poteva ignorarci. Quindi siamo stati invitati a negoziare una nuova legge sulla mobilità che ha finito per essere ancora più ampia: non include solo il traffico ciclabile, ma anche il trasporto pubblico, il traffico pedonale e commerciale. L’aspetto più importante è un approccio alla mobilità che capovolge le priorità: invece di concentrarsi sul traffico automobilistico, privilegia i pedoni, le biciclette e il trasporto pubblico rispetto alle auto. Ciò significa che qualunque cosa tu intenda fare a Berlino, la mobilità sostenibile è la prima cosa da prendere in considerazione. Un secondo aspetto importante è che nella pianificazione della mobilità in città, la sicurezza prevale sulla velocità.

È possibile cambiare radicalmente la cultura della mobilità in una città?

È sicuramente possibile cambiare la cultura della mobilità. Lo abbiamo fatto circa cento anni fa, quando l’auto è stata inventata e gli è stato dato spazio ovunque. Lo spazio urbano era multifunzionale prima che l’auto arrivasse e prendesse il sopravvento: era uno spazio per attività commerciali, per attività sociali, per il gioco e, ovviamente, anche uno spazio per la mobilità. Negli ultimi 100 anni abbiamo regalato questo spazio alle auto. A Berlino abbiamo combattuto dal basso per ottenere il cambiamento perché l’amministrazione e i politici non hanno fatto alcun passo per trasformare la mobilità urbana. Ma anche la volontà politica è cruciale. Anche se abbiamo una legge sulla mobilità che dovrebbe facilitare la trasformazione, servono comunque esponenti politici disposti ad applicarla. A Berlino dopo cinque anni è stato realizzato solo il 4,2 per cento della rete ciclabile totale (2.700 km). Questo è molto deludente, perché la rete dovrebbe essere completata nel 2030.

A Milano nel giro di pochi mesi due giovani donne in bicicletta hanno perso la vita investite da grossi tir che non le avevano viste. Succede anche a Berlino?

Sì. Circa il 50 per cento di tutti i ciclisti che muoiono in incidenti muore a causa di camion che svoltano a destra. Non vi è alcun obbligo in Germania per i camion di dotarsi di sensori, quindi solo in pochissimi li hanno. In generale il numero di decessi di bikers per incidenti stradali è rimasto stabile negli ultimi quindici anni, ma vuol dire che non è diminuito nonostante l’approvazione della legge. La lobby dei combustibili fossili è ancora molto forte. Ora dobbiamo puntare ancora di più sulla comunicazione per convincere la gente dei vantaggi di una città con meno auto e più pedoni e biciclette. Ci stiamo concentrando sulla necessità di una città più verde e più sana per tutti. Alla fine, arriverà un cambiamento radicale: quello che facciamo noi stessi per migliorare la nostra vita e gestire le conseguenze del cambiamento climatico.