La normalizzazione targata Sánchez, Illa eletto «president»
Nonostante la scena l’abbiano occupata i giochi di prestigio di Puigdemont, il protagonista era Salvador Illa. Ieri sera – in una giornata surreale – ha ottenuto i 68 voti necessari (su 130) per diventare il president numero 133 della Generalitat di Catalogna. Dopo 14 anni, un socialista torna alla guida della Generalitat e Pedro Sánchez infila un gol importante, restituendo al suo partito la guida di una delle comunità autonome più importante del paese, superando il conflitto indipendentista degli ultimi anni.
Illa è uomo pragmatico. A lui toccò gestire l’emergenza Covid come ministro, e anche nel discorso di ieri non si è lasciato andare a voli pindarici di retorica come i suoi predecessori. La seduta, come previsto, è iniziata pochi minuti dopo le 10, nonostante l’incertezza su Puigdemont, il cui posto è rimasto vuoto senza il tradizionale fiocco giallo, assurto a simbolo indipendentista.
Qualcuno sperava in un ennesimo colpo di scena. Junts, il partito di Puigdemont, ha cercato di sospendere varie volte la seduta, ma i tre partiti che hanno sostenuto Illa (socialisti, Esquerra e i Comuns) si sono opposti perché Puigdemont non è stato arrestato.
Il discorso di Illa è durato meno di tre quarti d’ora. Ha rivendicato gli accordi raggiunti e ha chiarito che questa legislatura sarà centrata soprattutto sul nuovo modello di finanziamento, strappato da Esquerra, e sulla casa, come chiesto dai Comuns, il partito dell’ex sindaca di Barcellona Ada Colau. Ma il fantasma di Puigdemont ha aleggiato durante tutta la seduta. Anche nell’intervento del candidato, che ha chiesto al potere giudiziario di rispettare «senza sotterfugi» la legge di amnistia che tanto è costata a Sánchez approvare. Reclamo il rispetto per la decisione del potere legislativo che ha dimostrato in modo chiaro, esplicito e inequivocabile la volontà di una normalizzazione completa in Catalogna». Un chiaro riferimento alla guerra niente affatto sotterranea che alcuni settori eversivi della magistratura stanno conducendo contro l’applicazione di questa legge, in particolare nel caso di Puigdemont.
Parlando di «un accordo di investitura, e non di legislatura», Illa ha ricordato i suoi punti programmatici. Quello ambientale: lotta contro la siccità con la creazione di nuove infrastrutture e l’obiettivo di rendere la Catalogna neutra climaticamente entro il 2030. Quello della casa: ha promesso 50mila nuovi appartamenti e regolare gli affitti stagionali (una legge che proprio il suo partito aveva silurato poche settimane fa). La questione trasporti: il passaggio delle competenze sulle ferrovie e per «cucire la Catalogna attraverso il trasporto pubblico». L’educazione e infine la fine del conflitto catalano, uno degli obiettivi del governo Sánchez. Esquerra republicana ha accettato senza entusiasmo che il negoziato con lo stato non includa l’agognato referendum.
Con un gesto di cortesia parlamentare, Illa ha concluso il discorso riconoscendo al suo predecessore Pere Aragonés, di Esquerra, di ricevere un paese in condizioni migliori di quelle in cui lo aveva ricevuto lui (dalle mani dei loro ex soci di Junts). Ha proclamato di voler lavorare con tutti, meno con i partiti di estrema destra, Vox e Aliança catalana.
Se il portavoce di Junts Albert Batet ha accusato Esquerra di stendere «il tappeto rosso ai socialisti» mettendo «in pericolo» la nazione catalana e di aver caricato i manifestanti intorno al Parlament, il portavoce di Esquerra Josep Maria Jové ha sottolineato invece che il loro è un sì «vigilante ed esigente». Anche Jessica Albiach dei Comuns ha detto a Illa che la sua gratitudine si misurerà nel rispetto degli accordi. Il Pp ha accusato i socialisti di essersi fatti sfuggire Puigdemont e Vox ha vomitato l’usuale odio islamofobo e contro l’immigrazione. Inizia un nuovo ciclo in Catalogna.
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