La Nato: «Se la Russia invade Kiev non interveniamo»
Crisi ucraina Stoltenberg segretario dell’Alleanza atlantica: «Non è Paese alleato». Messaggio a Mosca
Crisi ucraina Stoltenberg segretario dell’Alleanza atlantica: «Non è Paese alleato». Messaggio a Mosca
Dopo mesi di trattative e di minacce più o meno esplicite tutte le parti coinvolte nel confronto sul futuro dell’Ucraina sembrano avere raggiunto la stessa conclusione: nessuno desidera combattere una guerra. Non lo vuole la Nato, che ha chiarito ieri, definitivamente, gli impegni dell’Alleanza nel caso, sempre meno probabile, di un’invasione russa. «Non ci sono piani per schierare truppe nel paese», ha detto il segretario generale, Jens Stoltenberg, che pure nelle scorse settimane aveva agitato la possibilità di gravi conseguenze di fronte all’ipotesi di un conflitto militare, contribuendo in quel mondo a sollevare tensioni che erano già al livello di guardia. «Facciamo molto per aiutare il governo di Kiev a rafforzare la propria capacità di difesa», ha detto sempre Stoltenberg, «ma l’Ucraina non è un alleato, e la risposta automatica si applica soltanto per gli attacchi verso gli alleati, non ai partner, per quanto stretti possano essere».
GLI UOMINI, 8.500 secondo le stime della Casa Bianca, gli Stati Uniti li impiegheranno probabilmente nei paesi del Baltico. La Francia ha deciso di inviarli in Romania. Ma più di questo Biden e la Nato non possono ottenere. Anche i russi si allontanano gradualmente dalla prospettiva di un conflitto in Ucraina. Segnali importanti da Mosca arrivano sul piano politico e su quello militare. «Se dipendesse soltanto dalla Federazione non ci sarebbe alcuna guerra», ha detto il ministero degli Esteri, Sergei Lavrov: «Noi non vogliamo una guerra, ma non permetteremo che i nostri interessi siano violati». Alle parole di Lavrov sono seguite ieri pomeriggio quelle pronunciate dal segretario del Consiglio di sicurezza, Nikolai Petrushev, per il quale «tutti oggi dicono che la Russia minaccia l’Ucraina, ma si tratta di una totale assurdità, perché non esiste alcuna minaccia». In ambienti militari si parla dell’imminente inizio delle operazioni di ritiro di una parte delle truppe che nei mesi scorsi sono state schierate lungo il confine meridionale per rispondere al progetto di adesione della Nato del governo ucraino. Al tempo stesso, l’esercito è impegnato in una esercitazione congiunta in Bielorussia. Ma come accade con Biden, anche per Putin le opzioni sono limitate: una volta ridimensionato il rischio invasione, non può che accontentarsi di portare avanti i colloqui sulla sicurezza.
GLI ULTIMI A VOLERE la guerra sono proprio gli ucraini, che smentiscono ormai da giorni i rapporti e appelli della Nato e degli Stati Uniti sulla invasione imminente. Il presidente, Volodymyr Zelensky e il ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, hanno sollevato più volte dubbi sulla credibilità di quegli appelli. Ieri è toccato alla numero due della Difesa, Hanna Maliar, smentire attraverso i social network le ultime rivelazioni dell’intelligence Usa, secondo le quali i russi avrebbero spostato al fronte riserve di sangue per fare fronte a interventi di emergenza. «Quelle informazioni non sono veritiere», ha scritto Maliar, «si tratta di elementi di guerra psicologica il cui unico obiettivo è seminare il panico nella nostra società». Zelensky deve prima di tutto evitare che il suo paese sia trascinato in guerra, o che alcuni settori delle sue forze armate possano addirittura provocarla. Per questo ora sta accusando apertamente l’Amministrazione Biden di usare l’arma della disinformazione contro il suo paese. Non è un buon segnale nelle relazioni fra Washington e Kiev.
L’UNICO GOVERNO DECISO a imboccare la campagna militare pare la Gran Bretagna. Il premier Boris Johnson ha offerto alla Nato «un ingente dispiegamento di truppe, armi, caccia e navi da guerra» in risposta alla «crescente ostilità russa». Il messaggio di Johnson è sin troppo chiaro: «Non tollereremo la loro attività destabilizzante e staremo sempre al fianco dei nostri alleati». Il problema è che Johnson affronta in patria un pericoloso scandalo politico, il cosiddetto “Partygate” sulle feste illegali che Downing Street e altre sedi istituzionali avrebbero ospitato nel periodo delle misure di emergenza per il coronavirus. L’inchiesta indipendente sul caso potrebbe essere pubblicata già nelle prossime ore. In parlamento l’opposizione ha già chiesto a Johnson di lasciare l’incarico. Le tensioni di guerra possono valere una tregua interna. Ma la minaccia di un conflitto cosi affievolisce giorno dopo giorno. Un esame della «strategia» di Johnson, è atteso in settimana, con l’incontro a Mosca fra il segretario di Stato, Liz Truss, e Sergei Lavrov.
UN DISCORSO SIMILE VALE per Biden. I suoi piani ucraini sono stati incerti e caotici, una occasione per Trump e i Repubblicani per approfittarne. «Quel che Putin e la Russia stanno facendo, con me non sarebbe accaduto» «Rischiamo la terza guerra mondiale», ha detto l’ex presidente Trump, proponendo alla Casa Bianca di inviare soldati al confine col Messico, anziché in Ucraina: «Solo l’anno scorso 5 milioni di persone hanno attraversato la frontiera illegalmente».
ABBONAMENTI
Passa dalla parte del torto.
Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento