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La narrazione parallela Gop dà l’assalto alla giustizia

La narrazione parallela Gop dà l’assalto alla giustiziaUn disegno del processo a Trump a Manhattan – Elizabeth Williams/Ap

L'ha presa male Lo speaker della Camera Johnson ha messo tutto il peso della sua carica nell’accreditare la tesi del complotto immaginario ed inficiare lo stato di diritto

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 1 giugno 2024
Luca CeladaLOS ANGELES

La “conferenza stampa” tenuta ieri da Trump si è convertita nell’arringa che avrebbe presumibilmente voluto fare in tribunale. Uno sproloquio di 45 minuti un po’ comizio elettorale (gli immigrati! la criminalità!) e un po’ requisitoria di magnate perseguitato («Chi non ha dimenticato di dichiarare una seconda auto o fatto firmare un accordo di riservatezza?»). In conclusione «Se possono farlo a me possono farlo a tutti!».
Nella mente di Trump quest’ultima formulazione di una legge uguale per tutti si è trasformata in un modo per allargare ai propri elettori il vittimismo che ha prontamente inglobato nel copione elettorale preconfezionato che spera lo riconduca allo Studio ovale: il verdetto è frutto della persecuzione politica ordita per punire gli americani patriottici attraverso il loro rappresentante.

MENTRE SULLE DIRETTE Fox News gli anchorman hanno gridato alla «dichiarazione di guerra», la campagna ha diramato le nuove grafiche per le richieste di donazioni raffiguranti il candidato-condannato in posa di sfida, col pugno alzato. Dicitura: «Prigioniero politico!».
In realtà è da mesi che Trump va preventivamente denunciando «l’interferenza elettorale» dei processi. Ora che vi è un’effettiva condanna (seppur del meno grave delle imputazioni che affronta – gli altri riguardano la sottrazione di documenti top secret ed i tentativi di sovvertire l’ordine costituzionale), per metà della nazione, la narrazione complottista è una incontrovertibile realtà parallela.

Quattro anni fa, prima delle elezioni, Trump la aveva inoculata alla propria base col battage preventivo dei «vasti brogli»: una sua sconfitta avrebbe comprovato la congiura del deep state, lo stato profondo. La decisione di spingere la tesi fino alle estreme conseguenze anche dopo il voto avrebbe successivamente portato al primo tentativo di colpo di stato della storia americana.

CON LO STESSO sillogismo, oggi il verdetto sfavorevole confermerebbe la profetizzata congiura (viviamo in uno stato fascista!), e la definitiva corruzione del sistema giuridico ridotto a «braccio armato di Biden». Da qui a novembre la campagna della destra promette di incentrarsi sull’attacco al sistema giuridico in una riedizione dello «stop the steal» (le lezioni «rubate») che portò all’assalto a Capitol Hill. Contemporaneamente, lo stesso Trump promette procedimenti contro i suoi nemici compreso Biden e la sua famiglia, se dovesse essere rieletto.

IL COPIONE non è facoltativo. I maggiorenti repubblicani (compresi molti aspiranti vicepresidenti) sono allineati sulla linea del Trump-partito. Compreso lo speaker Mike Johnson che ha messo tutto il peso della sua carica di presidente della Camera, non in semplice solidarietà con Trump, ma nell’accreditare la tesi del complotto immaginario ed inficiare lo stato di diritto. Ieri i senatori repubblicani hanno invitato il procuratore di Manhattan Alvin Bragg, che ha istruito il processo di New York, a testimoniare in commissione sulla «persecuzione politica di Trump». L’ultimo segno di quanto il Gop sia stato convertito nel partito personale di Trump e la misura della metamorfosi compiuta dalla post politica populista.

Sulla Cnn, dopo il verdetto, Carl Bernstein e Bob Woodward hanno rievocato il cinquantenario della rinuncia di Nixon, ricordando che post Watergate, quel presidente fu convinto dalla stessa leadership repubblicana a lasciare per il bene della nazione. «Non avremmo potuto sognare allora – ha detto Bernstein – che potesse emergere un personaggio come Trump».
«La nazione è andata all’inferno» ha detto invece quest’ultimo all’uscita dal tribunale, lasciando presagire più che passi indietro, terra bruciata ed una strategia che alternerà ricorsi a denunce del sistema nelle piazze, e veleno sparato sui giudici come lo fu sul sistema elettorale quattro anni fa.

IN ALTRE PAROLE, politica e giustizia – o i loro simulacri – sono ormai sempre più inestricabilmente commisti nel frullatore post politico alimentato ad arte dal demagogo faccendiere che prospetta una presidenza turbo populista capace di coniugare gli interessi della plutocrazia liberista con un autoritarismo di stampo putinista.
Su una cosa Trump ha ragione quando dice «l’unico verdetto che conta ci sarà il 5 novembre». Non c’è infatti soluzione giuridica alla questione trumpista. Se ci fosse stata sarebbe avvenuta con gli l’impeachment – soprattutto quello dopo l’assalto a Capitol Hill.

I margini di elettori dissuadibili o convincibili, sia per Trump che per Biden, sono millimetrici ed imprevedibili nel mix di economia, fanatismo, post ideologia, disinformazione, apatia ed ora condanna presidenziale che caratterizzeranno queste presidenziali.

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