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La morte di Evgenij Prigozhin consolida il putinismo

La morte di Evgenij Prigozhin consolida il putinismo

L’alternativa non c’è È probabile che il clamore suscitato dall’aereo di Prigozhin che precipita sul suolo russo sia voluto; un messaggio per chiarire a tutti i possibili oppositori la forza del putinismo

Pubblicato circa un anno faEdizione del 25 agosto 2023

Con la morte di Evgenij Prigozhin sembra chiudersi una vicenda iniziata due mesi fa con il tentato “colpo di mano” orchestrato proprio dal leader della Wagner. In realtà, da un punto di vista prettamente politico la questione sembrava già risolta.

A vantaggio di Putin e dei vertici dell’esercito vicini al presidente. Il tentativo di Prigozhin, appoggiato senz’altro da una parte dell’élite (basti pensare al destino del generale Surovikin, allontanato dal comando militare proprio in questi giorni), di ridistribuire il potere all’interno della cerchia che governa la Russia si era risolto in un nulla di fatto. Anzi, il capo della Wagner aveva dovuto con ogni probabilità accettare un compromesso al ribasso, mediato dal presidente Bielorusso Lukashenko, pur di avere salva la vita.

In quelle giornate di giugno, Putin ha agito con durezza e ha posto fine ad ogni velleità politica di Prigozhin. Più che sul piano militare, dato che gli uomini della Wagner erano stati in grado di avvicinarsi a Mosca senza incontrare seri ostacoli, il presidente russo aveva agito sul piano politico e mediatico, accusando apertamente i rivoltosi di tradimento verso la Madre patria russa.
In questo modo Putin ha inteso distruggere la popolarità di Prigozhin, testimoniata in quei giorni dalle dimostrazioni di solidarietà dei cittadini di Rostov verso la Wagner.

La volontà era quella di isolare e danneggiare Prigozhin di fronte all’opinione pubblica russa, consolidando il consenso personale del presidente ancora alto, come dimostrano i sondaggi del Centro Levada.
Il regime putiniano non si basa solo sulla coercizione e sulla gestione neo-patrimoniale del potere, dove è il leader a distribuire benefici e punizioni ai suoi sodali. Il putinismo, come tutti i regimi politici più o meno longevi, agisce quotidianamente anche per costruire consenso intorno alle sue politiche.

Il “golpe” di Prigozhin era dunque pericoloso non solo perché in grado di cambiare gli equilibri interni al putinismo, ma anche perché suscettibile di inclinare il consenso intorno a Putin dimostrando l’esistenza di un’alternativa possibile al presidente. Come già Boris Eltsin prima di lui, Putin ha costruito il suo consenso sull’idea che non esista alternativa alla sua persona, che ogni strada diversa porterebbe irrimediabilmente la Russia alla rovina. Distruggere politicamente Prigozhin ha significato per Putin riaffermare questa tesi.

Per questo il presidente russo ha da subito mediaticamente affondato il colpo contro i rivoltosi chiamandoli traditori. Per questo ha rifiutato qualsiasi riconciliazione pubblica o compromesso che permettesse a Prigozhin di giocare ancora un ruolo pubblico in Russia.
L’assassinio del capo dei mercenari pare chiudere il cerchio e, seppure non avremo forse mai la certezza che l’ordine sia arrivato dal Cremlino, risulta coerente con la gestione del potere tipica del putinismo.

A sorprendere in parte è la modalità con cui Prigozhin è stato ucciso, che risulta meno consona ai metodi solitamente usati dai servizi segreti, strumento per eccellenza del regime di Putin. È probabile che il clamore suscitato dall’aereo di Prigozhin che precipita sul suolo russo sia voluto; un messaggio per chiarire a tutti i possibili oppositori la forza del putinismo.

Da questo punto di vista, se non per via di un wishful thinking diffuso tra la stampa occidentale, appare complesso ritenere il regime più fragile rispetto a qualche mese fa.
Il putinismo ha liquidato l’unica alternativa “interna” manifestatasi apertamente dall’invasione su larga scala dell’Ucraina dello scorso anno.

Il presidente ha consolidato il proprio consenso in quella parte della popolazione russa che lo appoggia, dimostrandosi in grado di punire i “traditori”.

Putin ha inoltre posto nuovamente l’esercito russo al centro della guerra in Ucraina, premiando gli uomini a lui più fedeli e ridimensionando il ruolo del gruppo Wagner. Ecco perché la morte di Prigozhin non cambierà gli obiettivi e la conduzione attuale del conflitto da parte del Cremlino. Allo stesso tempo è improbabile che i mercenari della Wagner provino un ultimo e disperato colpo di coda contro Putin, visto che dipendono più di ieri dal sostegno politico ed economico del presidente russo.

Oggi, insomma, la Russia è un paese in cui un cambiamento al vertice proveniente da una parte dell’élite al potere appare ancora più inverosimile. Rielaborando gli strumenti contro gli oppositori politici mutuati dal precedente storico dello stalinismo, infatti, Putin ha voluto nuovamente dimostrare che non esistono alternative al suo potere, preparando così il campo per la sua rielezione nel 2024.

* Storico dell’Università di Pisa, autore del saggio “Nella Russia di Putin” (Carocci, 2023)

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