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La morsa del Fondo su Majdan

La morsa del Fondo su MajdanTank dei filorussi – Reuters

Scongelata la prima rata da 2 miliardi e 300 milioni di euro, in cambio aumentano le bollette Le fondamenta dell’economia di Kiev erano già fragili, da prima che scoppiasse la protesta contro Yanukovich, il 21 novembre scorso. È il giorno in cui l’ex presidente ucraino rifiutò gli […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 3 maggio 2014

Le fondamenta dell’economia di Kiev erano già fragili, da prima che scoppiasse la protesta contro Yanukovich, il 21 novembre scorso. È il giorno in cui l’ex presidente ucraino rifiutò gli Accordi di associazione targati Ue, pacchetto di importanti incentivi commerciali. Da allora è successo di tutto. La rabbia popolare s’è trasformata in rivoluzione, la Crimea ha preso la strada di Mosca e l’est del paese è diventato il teatro di una guerra, per ora a bassa intensità: da una parte l’esercito di Kiev, dall’altra i ribelli filorussi.

Questa catena di avvenimenti ha fatto molto male all’ex repubblica sovietica. Diversi investitori stanno portando via i loro capitali, anche a costo di svendere, come ha fatto Intesa San Paolo. La hryvnia ha perso dall’inizio dell’anno il 29% sul dollaro. Nessun’altra moneta al mondo ha avuto un andamento così disastroso. Quanto alla crescita, il Fmi stima che quest’anno Kiev perderà cinque punti di Pil. Un’altra botta devastante, dopo i 15 punti bruciati nel 2009, causa crisi globale. È lo stesso Fmi che cercherà di evitare che l’Ucraina capitoli. Insieme all’Ue le presterà all’incirca 23 miliardi di euro. Una somma che rappresenta il 15% del Pil (dato 2013). La prima rata dell’importo, da due miliardi e 300 milioni, è stata già scongelata.

Lo stanziamento fa parte della partita internazionale in corso. Il Fmi, strumento a trazione occidentale, se si guarda al contributo fornito dai paesi membri (quello americano s’aggira sul 15%) e dal peso relativo che ne deriva in termini di voti, ha deciso di intervenire in Ucraina dopo che Mosca, una volta imploso il sistema predatorio di Yanukovich, ha annullato il prestito da 15 miliardi di dollari e il taglio sul gas accordati a dicembre all’ex repubblica sovietica.

Quell’intesa ne spostò il baricentro verso la Russia, facendo evaporare definitivamente l’ipotesi di firmare gli Accordi di associazione, a loro volta legati a un possibile sostegno del Fmi. Una delle ragioni a monte del no di Yanukovich sta nel fatto che il Fmi chiedeva di aumentare la tariffa del gas, tenuta artificiosamente bassa, per motivi di consenso elettorale, da tutti i governi che si sono succeduti al potere a Kiev.

Da qui, tutto sommato, si riparte. La condizione più stringente che Lagarde, la direttrice del Fmi, ha chiesto al governo del primo ministro Yatseniuk è proprio la rettifica al rialzo delle bollette. Naftogaz, l’azienda statale del gas, ha i conti profondo rosso. Deve più due miliardi di euro a Mosca. I soldi del Fmi serviranno anche a coprire questa voragine, ma Kiev è tenuta – appunto – a caricare la bolletta. Il che può avere evidenti contraccolpi sociali, in un paese dove il reddito medio annuale non supera i 4000 dollari (in Russia è 14000, in Polonia quasi 13000). Lagarde ha comunque spiegato che verranno licenziati provvedimenti orientati a tutelare le fasce deboli. Le altre misure che il Fmi reputa urgenti riguardano il contenimento del deficit e dell’inflazione, il mantenimento del tasso di cambio variabile della hryvnia (adottato a febbraio), una serie di riforme a favore della trasparenza economica, qualche taglio e qualche balzello in più.

Al di là dei contenuti della ricetta, il vero punto è se questo piano sarà capace di progredire. Diverse sono le incognite. Una, ovviamente, è la situazione dell’est. Se il conflitto tra forze governative e milizie filorusse dovesse aggravarsi, determinando persino variazione territoriali il Fmi dovrebbe rivedere, aumentandolo, l’importo del bailout. E poi ci sono gli oligarchi, la razza padrona del paese. Ricchissimi, refrattari alle riforme e al principio della concorrenza, il loro obiettivo storico è sempre stato quello di salvaguardare i loro monopoli industriali. Dosano forza mediatica e influenza sulla politica. Saltano, quando necessario, da un partito all’altro. Non disdegnano l’Europa, ma temono le riforme che l’Ue e il Fmi squadernano. Vogliono mantenere intatto il flusso di affari con la Russia (è il loro mercato principale) evitando però che l’ipoteca esterna di Mosca s’ingigantisca. La loro indole, sotto certi aspetti, è gattopardesca.

L’azione del Fmi li disturba. Tanto che, si dice in questi giorni, pur in assenza di prove, qualche tycoon avrebbe foraggiato i ribelli di Donetsk. La strategia può portare all’indebolimento del governo e a rendere inefficace l’azione del Fmi, che ha già prestato molti soldi, nel corso degli anni, a Kiev. Ma l’Ucraina s’è rivelata un buco nero. Le riforme non hanno attecchito, non s’è creata una classe media, gli oligarchi hanno continuato a bivaccare.

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