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«La mia vita è a rischio, ma resto. La pace è più importante della morte»

Il sacerdote cattolico Marcelo PerezIl sacerdote cattolico Marcelo Perez

Messico Luglio 2022, San Cristóbal de las Casas. A colloquio con padre Marcelo: «Ho sostenuto migliaia di "desplazados" a causa delle violenze subite in questi territori e ho cercato sempre di fare da mediatore in molti conflitti»

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 22 ottobre 2024

«La mia vita è a rischio, ma resto qui. Per me la pace è più importante della morte. Per questo ho deciso di rimanere al mio posto». Era la fine di luglio del 2022 quando, in una saletta adiacente il Templo de Nuestra Señora de Guadalupe, a San Cristóbal de las Casas, abbiamo intervistato padre Marcelo Pérez Pérez, prete indigeno tzotziles e parroco della diocesi.

PER INCONTRARLO abbiamo dovuto attendere un po’, per due motivi. Il primo: erano giorni difficili per padre Marcelo e incontrare due sconosciuti poteva costituire un rischio, ma grazie alla presentazione di un giornalista locale alla fine ci ha aperto le porte. Il secondo: era a colloquio con un gruppo di parrocchiani del vicino municipio di Simojovel, della regione di Los Altos del Chiapas, allarmati dalla notizia del suo arresto, che in poco tempo si rivelò falsa e diramata ad arte per aumentare la pressione.

Nelle settimane precedenti, infatti, contro padre Marcelo era stato emesso un ordine di arresto con l’accusa di aver partecipato alla sparizione forzata di 21 persone. Un’accusa che veniva dai fatti accaduti nel luglio di un anno prima quando nella zona di Pantelhó, sempre nella regione di Los Altos del Chiapas, si verificò un sanguinoso scontro tra una rete criminale locale che aveva il controllo del territorio e un gruppo di autodifesa formato da civili armati, chiamato El Machete. In quei giorni, il 5 luglio 2021, proprio a Simojovel, era stato ucciso con un colpo alla testa Simón Pedro, presidente della storica comunità pacifista Las Abejas di Acteal.

SACCHEGGI E CASE BRUCIATE costrinsero oltre tremila persone a fuggire. In questo contesto, il 26 luglio, 21 uomini accusati di far parte della rete criminale sono stati radunati nella piazza centrale di Pantelhó da membri del gruppo di autodifesa e poi fatti sparire. Ed è qui che negli stessi giorni padre Marcelo si è recato per provare a riportare la pace.

«I familiari – ci spiegò – mi accusano di essere responsabile di quella sparizione, ma io sono arrivato a Pantelhó solo il giorno seguente. Ero stato chiamato per mediare e costruire un tavolo di dialogo con il governo statale e federale», che intanto aveva schierato l’esercito nella zona.

Anche il suo avvocato ci confermò la presenza di molti testimoni che avevano sostenuto che padre Marcelo non era a Pantelhó quel giorno: «Nonostante questo, lo si accusa senza prove di un fatto molto grave come la sparizione forzata, che oltre a essere un reato è definito dalle convenzioni internazionali come crimine contro l’umanità».

Fin dal 2014 padre Marcelo ha organizzato manifestazioni pubbliche contro alcolismo, prostituzione e traffico di droga, armi e persone da parte dei potentati locali. Nel 2015, a causa delle minacce ricevute, la Commissione interamericana dei diritti dell’uomo aveva chiesto allo stato messicano misure di protezione per lui e per altri membri del consiglio parrocchiale.

NEGLI ANNI, CI RACCONTÒ padre Marcelo, «ho sostenuto migliaia di desplazados (profughi, ndr) a causa delle violenze subite in questi territori e ho cercato sempre la pace facendo da mediatore in molti conflitti».

La sua storia, quindi, è intrecciata a quella degli ultimi anni del Chiapas, territorio in cui è in costante aumento la presenza di gruppi di civili armati che si contendono il controllo economico e politico del territorio. Le violenze sono da tempo all’ordine del giorno nei municipi intorno a San Cristóbal de Las Casas e, secondo il Frayba, «c’è continuità tra la nascita di questi gruppi, che ha portato a un incremento della violenza in Chiapas, e la strategia contro-insurrezionale legata all’Ezln operata dai gruppi paramilitari negli anni ‘90 e promossa dal governo messicano». Di fronte a questa violenza «le autorità sono assenti o partecipi e il sistema di giustizia che criminalizza i difensori dei diritti umani toglie degli ostacoli ai gruppi criminali».

PARLARE DI OMICIDIO annunciato, purtroppo, non è sbagliato: due anni fa diverse ong, dal Frayba fino ad Amnesty e Frontline Defenders, chiedevano non solo di archiviare processi giuridici «senza fondamento contro difensori dei diritti umani», ma soprattutto protezione per il «possibile arresto, sparizione o omicidio» di padre Marcelo. Un uomo di pace. Che ha scelto di restare.

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