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Gustavo Gutierrez, il padre ribelle della Teologia della Liberazione

Gustavo Gutierrez, il padre ribelle della Teologia della LiberazionePadre Gustavo Gutierrez

America Latina È scomparso in Perù, aveva 96 anni. Nella sua «opzione preferenziale per i poveri» fu avversato da Wojtila e inquisito da Ratzinger

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 24 ottobre 2024

Se ne è andato a Lima a 96 anni padre Gustavo Gutierrez, dominicano, letterale coniatore della Teología de la Liberación. Un’intellettuale a tutto tondo che aveva studiato medicina e filosofia in Perù, e psicologia e filosofia a Lovanio, in Belgio.

SOBRIO, DISCRETO, QUANTO FORTE e determinato, l’avevamo conosciuto in Nicaragua al Centro Ecumenico Antonio Valdivieso (intitolato a un vescovo ucciso laggiù nel ‘500 dagli stessi conquistadores perché difendeva gli autoctoni) nei primissimi anni della Rivoluzione Popolare Sandinista. L’ultima della storia moderna: aperta, plurale, ispirata all’antimperialismo più che al marxismo; così come in quella teologia della liberazione incentrata sulla opción preferencial para los pobres. A tal punto che ci furono ben quattro preti/ministri nel governo rivoluzionario. In qualche modo tollerati dalla allora ostpolitik del segretario di stato vaticano Agostino Casaroli; interpretata sul posto dall’apertissimo nunzio Andrea Cordero Lanza di Montezemolo.

Fino a che papa Wojtyla non giunse a Managua quel fatidico 4 marzo 1983, strapazzando appena sceso dall’aereo (eravamo lì) il ministro della Cultura padre Ernesto Cardenal che gli si era inginocchiato. Per poi essere clamorosamente contestato dai fedeli nella Plaza 19 de Julio mentre celebrava la messa. Al suo ritorno a Roma Giovanni Paolo II dispose l’immediata sospensione a divinis dei quattro sacerdoti dell’esecutivo sandinista. E poco dopo elevò a cardinale l’oppositore interno numero uno: l’arcivescovo metropolitano Obando y Bravo.

Mentre l’anno successivo il suo inquisitore, Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione della Fede, convocava alla Santa Sede lo stesso Gustavo Gutierrez per mettere sotto processo le sue teorie «azzardate». Ma Gustavo, senza colpo ferire, non si presentò, forte della solidarietà subito manifestatagli dal mondo ecclesiale sudamericano.

DEL RESTO IL SUO PRIMO SAGGIO sulla Teologia della Liberazione risale al 1971. Non a caso successivo alla seconda Conferenza dell’Episcopato dell’America Latina di Medellín (Colombia) del ’68, cui presenziò nientemeno che Paolo VI, il quale diede il via libera a quella tendenza d’avanguardia nell’applicazione del Concilio Vaticano II.

In ogni caso ci pensò il papa polacco, dopo il viaggio in Centro America, ad azzerare in pochi anni quella teologia in tutto il subcontinente; promuovendo via via presuli e porporati legati alla storica oligarchia coloniale. Come quelli che nel marzo 1980 legittimarono di fatto l’assassinio sull’altare dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romero. E la stessa uccisione dei sei gesuiti dell’Università Centroamericana nell’89 per mano dei militari durante la guerra civile.

IN QUEL MODO (e suo malgrado) ossessionato com’era dal «fantasma comunista», Wojtyla paradossalmente spalancò la strada alla diffusione delle sette fondamentaliste nel subcontinente più cattolico del pianeta, una strada pianificata da Washington dagli anni ’70 e strutturata nel Documento di Santa Fe del 1980 (durante la presidenza Reagan). Tanto che oggi quei predicatori disputano ai cattolici la storica «egemonia della fede» avuta nell’intera regione. Ma all’insegna (nel migliore dei casi) dell’antipolitica. Anche se ormai si stanno strutturando al fianco di destre alla Bolsonaro.

Certo poteva essere comprensibile che il pontefice polacco, cresciuto in un paese sotto il giogo sovietico, cadesse nella trappola strumentale di coloro che sbandieravano l’ossessione dell’arrivo del comunismo in America Latina. Quando in realtà la rivoluzione messicana del 1910 e quella del ’44 dei giovani militari in Guatemala non si basavano su un’ideologia bensì sull’improrogabile necessità di una riforma agraria che rovesciasse lo storico schema terratenientes versus peones. Allo stesso modo del più recente nuovo corso cubano del ’59; dove però Fidel Castro, per niente comunista ma iscritto al Partido Ortodoxo (antimperialista), per sopravvivere a sole 90 miglia dagli Usa fu costretto alla scelta di Mosca.

Ci volle la caduta del Muro di Berlino per far socchiudere un pochino gli occhi di Giovanni Paolo II sulla barbarie del sistema a libero mercato imperniato sul “dio denaro”. Ma nemmeno l’avvento di Bergoglio, primo papa venuto proprio da quell’«altra parte del mondo» è riuscito a rilanciare il Concilio Vaticano II; pressoché sepolto dal terzo papato più lungo in assoluto della storia (27 anni) e seguito dagli altri 7 di Benedetto XVI.

NON È BASTATO che papa Francesco si precipitasse a fare beato e santo Romero; e insieme a lui Paolo VI che quel concilio concretizzò. Mentre alla canonizzazione di Wojtyla fece affiancare quella di Giovanni XIII che quel concilio, all’insegna degli «uomini di buona volontà» e della «de/piramidazione» della Chiesa ispirò. Da ultimo, neppure è bastato che nel 2013, poco dopo essersi insediato sul soglio di Pietro, ricevesse in udienza lo stesso padre Gustavo Gutierrez. Che ben aveva conosciuto per venire dal medesimo subcontinente.

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