La metamorfosi della Turchia nella biografia del «sultano» Erdogan
Graphic novel Il lavoro degli esuli Can Dundar e Mohamed Anwar, tradotto da Giulia Ansaldo e edito da Nutrimenti. La crescente radicalizzazione dell’islam politico, la nuova grandeur, il senso di rivalsa
Graphic novel Il lavoro degli esuli Can Dundar e Mohamed Anwar, tradotto da Giulia Ansaldo e edito da Nutrimenti. La crescente radicalizzazione dell’islam politico, la nuova grandeur, il senso di rivalsa
Calciatore di belle speranze, frequentatore assiduo di moschee, figlio di una famiglia povera e fratello musulmano, prigioniero politico, riformatore ultraconservatore della Turchia kemalista, scalatore politico anche a costo di «uccidere il padre». La biografia di Recep Tayyip Erdogan è fluida, accidentata: tante identità a formarne una, quella che in vent’anni ha fatto transitare la Turchia dal nazionalismo laico «turchizzato» di Ataturk a quello islamista neo-ottomano del partito Akp.
Erdogan si è seduto sulla poltrona presidenziale di Ankara, conquista apparentemente inamovibile, partendo da zero. Un self made man, verrebbe da dire, uno che si è fatto da solo, viscerale conoscitore di un pezzo significativo di società profonda. Comprenderne la scalata, affatto inarrestabile, è primo passo per capire uno dei leader più influenti del terzo millennio, un islamista in giacca e cravatta e fino a poco fa considerato il volto rassicurante dell’islam politico, fenomeno colpevolmente misconosciuto a occidente.
GUIDA nella vita di Erdogan, dalla nascita nel 1954 fino al 2001, anno di fondazione dell’Akp, è la graphic novel Erdogan. Il nuovo sultano, edita da Nutrimenti e tradotta da Giulia Ansaldo (320 pp, 24 euro). Gli autori si sono incontrati in Europa, da esuli politici: uno è Can Dundar, tra i più noti giornalisti turchi, ex direttore del quotidiano d’opposizione «Cumhuriyet», condannato nel 2020 a 27 anni di carcere per aver rivelato la consegna di armi del Mit, i servizi segreti turchi, all’Isis in Siria; l’altro è Mohamed Anwar, illustratore egiziano-sudanese, arrestato e deportato dall’Egitto nel 2019 per aver messo la sua arte a servizio della rivoluzione di Tahrir del 2011.
Insieme restituiscono la costruzione quasi matematica di un personaggio che è, in parallelo, la costruzione di una Turchia altra, che tramuta tratti distintivi del suo passato (il nazionalismo, la turchizzazione e l’emarginazione delle minoranze, che siano etniche o politiche) in una chiave nuova, di antica grandeur imperiale. Un processo che si realizza in un periodo storico che per l’intero Medio Oriente è stato di “ritorno” all’islam, a una maggiore religiosità che ispira a farsi guida politica della società. Erdogan è figlio del suo tempo e, contemporaneamente, artefice del cambiamento. Che non è immediato e lineare ma segnato da ostacoli: da quelli posti dalla povertà e da un padre conservatore e violento a quelli di un’élite politica ancora laica che tenta di resistere, inutilmente, all’avvento dell’islam politico.
DIVISO in capitoli, specchio di altrettante fasi storiche, il fumetto – tavole in bianco e nero, ricostruite dall’immaginazione di Anwar e dal ricorso a foto e video di reportorio – è un climax dentro la radicalizzazione politica di un uomo che ha toccato la base profonda della Turchia, l’ha plasmata e l’ha ingannata. Populista prima dei populisti, ha fatto del potere semi-assoluto la sua rivalsa dopo una vita di cui si ritiene, unico a crederlo, la vera vittima.
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