«La memoria degli oggetti» nelle foto di Karim El Maktafi
Mostre Una macchinetta rossa di un bambino, un orologio, un cuscino a righe, una boccetta di profumo, uno specchio rotto, una bussola...
Mostre Una macchinetta rossa di un bambino, un orologio, un cuscino a righe, una boccetta di profumo, uno specchio rotto, una bussola...
Una macchinetta rossa di un bambino, un orologio, un cuscino a righe, una boccetta di profumo, uno specchio rotto, una bussola, Sono i «reperti» quotidiani che hanno consentito ai parenti l’identificazione delle vittime, e che costellano la mostra inauguratasi al Memoriale della Shoah di Milano: La memoria degli oggetti. Lampedusa, 3 ottobre 2013. Dieci anni dopo, da un’idea di Valerio Cataldi, giornalista Rai che da anni si occupa di immigrazione, e di Giulia Tornari, presidente di Zona (che insieme a Carta di Roma ne firma il progetto), con le fotografie di Karim El Maktafi. Il 3 ottobre 2013, al largo di Lampedusa persero la vita 368 persone, donne, uomini e bambini che dall’Eritrea cercavano di raggiungere l’Europa: la rassegna ricorda quella tragedia del Mediterraneo che cambiò la percezione dei naufragi scatenando una reazione emotiva e politica.
Il Memoriale della Shoah, spazio dove è allestita la mostra, assume un valore simbolico particolare: non solo un monumento che ricorda ciò a cui ha portato l’antisemitismo, ma un luogo che fa sua una battaglia contro ogni pregiudizio. L’esposizione (fino al 31 ottobre), comprende gli oggetti e le foto appartenuti ai migranti e il lavoro fotografico inedito di Karim El Maktafi che li ha documentati. Suoi anche i paesaggi di Lampedusa, le immagini del mare e i ritratti di alcuni soccorritori, come Giusi Nicolini (già sindaca dell’isola), nonché di sopravvissuti e parenti delle vittime. La mostra riporta all’attenzione anche gli audio dei primi che prestarono soccorso in quelle circostanze così drammatiche, il video del barcone inabissato e i servizi televisivi di Cataldi, che al Tg2 raccontò il trattamento disumano riservato agli ospiti del centro di prima accoglienza dell’isola (poi chiuso).
Fra i protagonisti, c’è Adal Neguse, rifugiato eritreo, con i suoi disegni: fratello di Abraham, vittima del naufragio, narra «visivamente» con la sua matita le atrocità delle torture subite dai giovani del suo Paese che tentano di scappare dal regime. Non essendoci documentazione di quelle torture, i disegni di Adal sono stati acquisiti come prova dalle Nazioni Unite nella risoluzione che condanna il regime eritreo per crimini contro l’umanità.
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