Il Good Friday Agreement, di cui in questi giorni si celebra il venticinquesimo anniversario, ha dato una svolta irreversibile al processo di pace nell’Irlanda del Nord.

La guerra civile tra repubblicani e unionisti, chiamata eufemisticamente The troubles (i guai), sembrava indomabile. Radicata in secoli di discriminazioni subite dai cattolici, codificata in una divisione dell’isola frettolosa, le due comunità erano destinate a scannarsi per l’eternità.

Per quattro decenni c’è stata una spirale di violenza sfociata in un terrorismo diffuso. Le vittime accertate sono state tra le tre e le quattro mila, più della metà di loro tra i civili. Centri commerciali, stazioni ferroviarie e innumerevoli edifici sono stati distrutti dalle bombe, mentre per più di una generazione Belfast è vissuta sotto occupazione militare.

Rileggendo oggi le rivendicazioni delle parti in causa, si capisce perché non ci potesse essere un compromesso.

I repubblicani ritenevano di ingaggiare una lotta di liberazione nazionale che sarebbe terminata solo quando il nord fosse confluito in un unico stato irlandese. Il governo inglese ribatteva che la maggioranza della popolazione dell’Ulster voleva essere suddita di Sua Maestà, che tutti i cittadini erano uguali e che atti terroristici dovevano essere trattati come crimini comuni. Ogni confronto non faceva che rafforzare le contrapposizioni, generando attentati e rappresaglie.

La redazione consiglia:
Bloody Sunday, «Inaccettabile l’amnistia proposta da Johnson»

Molti splendidi film raccontano quei tragici anni: Bloody Sunday fa vedere come l’esercito inglese potesse impunemente sparare sulla folla disarmata, Nel nome del padre mostra le rappresaglie giudiziarie a cui erano sottoposti gli irlandesi, La moglie del soldato, denuncia l’esecuzione a sangue freddo dei militari catturati, Belfast il settarismo della comunità anglicana, «’71» la impossibilità di amicizia tra le due confessioni: tutti film dove l’unica speranza è quella di fuggire per sempre.

La redazione consiglia:
Un personale amarcord nella vecchia «Belfast»

Due madri, Mairead Corrigan e Betty Williams, una cattolica e l’altra proveniente da famiglia mista, invocarono la fine della violenza settaria già nel 1976, chiamando le donne a scendere in piazza. A Belfast, le loro grida di dolore furono presto soffocate dal fragore delle esplosioni, per quanto furono nello stesso anno insignite del Premio Nobel per la pace.

foto murale belfast
Un murale lealista a Belfast, foto di Charles McQuillan /Getty Images)

Solo nel 1992, l’inatteso miracolo. Folgorato sulla via di Damasco, il governo inglese ha capito che invocare la sovranità territoriale aveva poco senso in una società sempre più globale.

Regno unito e Repubblica irlandese erano oramai ben saldi membri dell’Unione europea e le interconnessioni tra le due comunità – nel commercio, nelle comunicazioni, nella mobilità, nelle regolazioni – erano crescenti.

Il governo inglese ha avuto il coraggio di coinvolgere non solo la controparte irlandese, ma anche diversi mediatori internazionali. Gli indipendentisti sono stati accettati come forze politiche creando nuove istituzioni paritarie che coinvolgessero governi, parlamenti e società civile delle due comunità, tanto all’interno che all’estero dell’Irlanda del Nord.

10 aprile 1998, Tony Blair (Gb), George Mitchell (Usa) e Bertie Ahern (Irlanda) firmano il Good Friday Agreement – foto Ap

Si è così passati dal cessate-il-fuoco ad un più impegnativo accordo per disarmare le truppe para-militari e perfino per il rilascio dei prigionieri che avevano compiuto atti terroristici. Il referendum confermativo fu un plebiscito: il 71 % nell’Irlanda del Nord e il 94 % nella Repubblica irlandese votarono sì.

Ancora oggi, le due comunità sono separate, con quartieri in cui i pedoni dell’altra religione sono ospiti indesiderati, ma almeno sono finiti gli omicidi, gli ordigni, le vendette.

La redazione consiglia:
Belfast, il premier lascia travolto dal post Brexit

Per quanto Brexit rischi di riportare indietro le lancette della storia, nessuno ha più voglia di ritornare alla lotta armata. Molto ancora bisogna fare per combattere le disparità economiche e sociali, ma accettare che il problema non era solo statale, bensì inter-nazionale e intra-comunitario, ha aperto la via per la riconciliazione.

I conflitti per l’auto-determinazione sono i più duraturi perché ristretti gruppi armati si arrogano il diritto di parlare a nome di tutta la propria comunità, minacciando chiunque non sia d’accordo. Chi prova a mediare viene definito «traditore» e rischia di essere eliminato dalla sua stessa gente. Come accade nelle guerre tra mafie, nei Troubles 188 repubblicani e 94 lealisti furono giustiziati dai loro stessi compagni.

Un murale critico con l’Ira a Belfast, foto di Peter Macdiarmid /Getty Images

Il Good Friday Agreement ha mostrato che se ne può uscire. Fornisce oggi un esempio per evitare l’escalation della violenza tra Kosovo e Serbia, Palestina e Israele, Kurdistan e Turchia e in tante altre parti del mondo. È una lezione alla quale si dovranno ispirare, appena taceranno le armi, anche Ucraina e Russia.

Nel 1998 i bambini in tutta l’isola irlandese leggevano le 36 pagine di quel testo in classe. Dopo 25 anni, sarebbe assai utile farlo studiare in tutte le scuole del mondo.